La mancata attivazione della sanzione disciplinare da parte del dirigente per fatti illeciti compiuti dai dipendenti può configurarsi come reato.
Il riferimento normativo è rintracciabile nel D.Lgs. n.150 del 2009, noto come ‘decreto Brunetta’ che ha modificato ed integrato il D.Lgs. n.165 del 2001 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche) prevedendo nuovi illeciti disciplinari sanzionabili anche per i dirigenti titolari preposti alle strutture della Pubblica Amministrazione.
In particolare l’art.55-sexies del decreto 165, introdotto dall’art. 69 del D.lgs. n.150 del 2009 ha definito la “Responsabilità disciplinare per condotte pregiudizievoli per l’amministrazione e limitazione della responsabilità per l’esercizio dell’azione disciplinare” soffermandosi su uno dei principi basilari della responsabilità e del procedimento: l’obbligatorietà dell’azione disciplinare.
In via generale, l’art.55 del decreto 165, modificato dal D.Lgs. n.75 del 2017 (attuativo della Legge Madia) ha rimarcato che la violazione dolosa o colposa delle disposizioni contenute negli artt. dal 55 fino al 55-octies (che elencano nuove forme di illeciti) costituisce illecito disciplinare in capo ai dipendenti preposti alla loro applicazione. La responsabilità disciplinare del dirigente in caso di omissione dell’azione disciplinare si profila in presenza di dolo o colpa grave.
Il comma 4 dell’articolo 55-sexies, modificato dal D.Lgs. n.75 del 2017 stabilisce che “il mancato esercizio o la decadenza dall’azione disciplinare, dovuti all’omissione o al ritardo, senza giustificato motivo, degli atti del procedimento disciplinare, inclusa la segnalazione di cui all’articolo 55-bis, comma 4, ovvero a valutazioni manifestamente irragionevoli di insussistenza dell’illecito in relazione a condotte aventi oggettiva e palese rilevanza disciplinare, comporta, per i soggetti responsabili, l’applicazione della sospensione dal servizio fino a un massimo di tre mesi, salva la maggiore sanzione del licenziamento prevista nei casi di cui all’articolo 55-quater, comma 1, lettera f-ter), e comma 3-quinquies. Tale condotta, per il personale con qualifica dirigenziale o titolare di funzioni o incarichi dirigenziali, è valutata anche ai fini della responsabilità di cui all’articolo 21 del presente decreto. Ogni amministrazione individua preventivamente il titolare dell’azione disciplinare per le infrazioni di cui al presente comma commesse da soggetti responsabili dell’ufficio di cui all’articolo 55-bis, comma 4”.
In questo senso la riforma Brunetta ha tentato di porre rimedio a quei comportamenti dirigenziali indolenti ed ignavi, anche dolosi, nei confronti di condotte palesemente illegittime e che configurano un’assoluta inadempienza, le quali possono dar luogo quindi ad illeciti di natura amministrativa, determinando anche aggravi per le casse dello Stato. Peraltro il principio dell’obbligatorietà dell’azione disciplinare è parte integrante del Regolamento recante codice di comportamento dei dipendenti pubblici di cui al D.P.R. n.62 del 2013 nella parte i cui sancisce all’art. 13 comma 8 che il “dirigente intraprende con tempestività le iniziative necessarie ove venga a conoscenza di un illecito, attiva e conclude, se competente, il procedimento disciplinare, ovvero segnala tempestivamente l’illecito all’autorità disciplinare, prestando ove richiesta la propria collaborazione e provvede ad inoltrare tempestiva denuncia all’autorità giudiziaria penale o segnalazione alla corte dei conti per le rispettive competenze. Nel caso in cui riceva segnalazione di un illecito da parte di un dipendente, adotta ogni cautela di legge affinché sia tutelato il segnalante e non sia indebitamente rilevata la sua identità nel procedimento disciplinare, ai sensi dell’articolo 54-bis del decreto legislativo n. 165 del 2001”.
L’esercizio dell’azione disciplinare nei confronti di comportamenti illeciti di cui il dirigente responsabile della struttura venga a conoscenza nello svolgimento delle sue funzioni è quindi obbligatorio e risponde ai principi di buon andamento dell’azione amministrativa; il mancato esercizio qualora si fosse a conoscenza di fatti illeciti potrebbe infatti profilare in capo ai dirigenti comportamenti commissivi, anche reati per truffa aggravata se non debitamente giustificati.
l riguardo, fra le condotte dirigenziali anti doverose ed in contrasto con i principi della Pubblica Amministrazione si cita la Sentenza n.35344 del 2011 della Corte di Cassazione che ha condannato un dirigente per non aver attivato sanzioni nei confronti di alcuni dipendenti che non rispettavano l’orario di lavoro con l’aggravante di favorirli nella commissione del reato: “il dirigente di un ufficio pubblico che non soltanto non impedisce che alcuni dipendenti pongano in essere reiterate violazioni nell’osservanza dell’orario di lavoro, aggirando in modo fraudolento il sistema computerizzato di controllo delle presenze, ma favorisca intenzionalmente tale comportamento creando segni esteriori di un atteggiamento di personale favore nei confronti dei correi, in modo tale da creare intorno ad essi un’aurea di intangibilità, disincentivare gli altri dipendenti dal presentare esposti o segnalazioni al riguardo e così affievolire, in ultima analisi, il c.d. “controllo sociale”. Pertanto tale condotta ha, in sé, valenza agevolatrice nella commissione del reato, anche solo per il sostegno morale e l’incoraggiamento che i dipendenti infedeli ricevono da una simile situazione di favore, senza che occorra quindi accertare, sul piano del rapporto di causalità, se il dirigente dell’ufficio avesse il potere di impedire la consumazione del reato o se avesse a tal fine contemporaneamente assunto iniziative di portata generale (quale l’introduzione del controllo computerizzato delle presenze), iniziative comunque rivelatesi inefficaci”.
da orizzontescuola.it