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SINDACATO NAZIONALE AUTONOMO LAVORATORI SCUOLA

Scuole paritarie: stipendi insegnanti, costo standard e scelta educativa

Scrive Suor Anna Monia Alfieri – Docente all’Università Cattolica del S.Cuore – Membro del GRUPPO DI STUDIO NAZIONALE sulla PARITÀ  SCOLASTICA nella VII Commissione Permanente alla Camera e I Commissione Permanente alla Camera –  Dal 2014 Membro in qualità di esperto al Tavolo Parità al MIUR-Ministero della Pubblica Istruzione – Collabora  con l’Assessorato Scuola del Comune di Milano.

Quest’anno per chi suona la campanella? Una richiesta di coerenza al Governo del cambiamento.

Il popolo italiano si aspetta che sia sanato un sistema scolastico di fatto Classista, nella misura in cui non permette anche al povero di poter esercitare la libertà di scelta educativa in un pluralismo formativo; Regionalista, perché a fronte di una regione come la Lombardia, che è ben oltre i parametri europei OCSE, altre, ad es. la Campania e la Calabria, sono molto al di sotto, il che sospinge l’Italia agli ultimi posti OCSE; Discriminatorio, a) nei confronti della classe docente che – nonostante la Costituzione affermi il diritto all’esercizio della libertà di insegnamento – si trova, a parità di titolo, a dover percepire uno stipendio inferiore se sceglie di insegnare in una scuola pubblica paritaria rispetto alla scuola pubblica statale; b) verso gli studenti portatori di handicap ai quali, se scelgono la scuola pubblica paritaria (che per legge dello Stato Italiano fa parte del sistema nazionale di istruzione), non verrà riconosciuto il docente di sostegno come avverrebbe presso la scuola pubblica statale.

L’Italia che pensa e che lavora – e che voterà a ragion veduta – pacatamente non demorde.

La Costituzione garantisce al cittadino italiano il diritto alla libertà di scelta educativa e, sulla carta (L.62/2000), un genitore può scegliere la buona scuola pubblica che desidera, statale o paritaria. A seguire della Costituzione Italiana: la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, articolo 26, afferma che i genitori “hanno diritto di priorità nella scelta di istruzione da impartire ai loro figli”.

Stesso concetto dall’Unesco (1966), e dalla Comunità europea (1984). Ma in Italia il cittadino povero, che già contribuisce all’erario per la sua parte, deve pagare in più ciò che gli spetterebbe di diritto… quindi non è libero. La scuola pubblica paritaria – solo in Italia (e in Grecia) – ha un costo troppo alto per le tasche dei poveri: tasse per lo Stato e retta per la scuola. La Costituzione – su questo punto – è lettera morta.

La legge 62/2000 afferma giustamente che il sistema scolastico italiano è costituito da scuole pubbliche statali e da scuole pubbliche paritarie, perché “pubblico” non è sinonimo di “statale”.

L’Ospedale San Raffaele è pubblico, ma non è statale. Il cittadino paga un ticket e si cura dove vuole. Ma il cittadino povero non può scegliere dove educare il proprio figlio. Due i richiami fatti all’Italia da parte dell’Unione Europea: flatus vocis.

Eppure nella laicissima Francia, dove lo Stato paga gli insegnanti delle scuole paritarie come quelli delle scuole statali, le rette sono bassissime, a motivo dei finanziamenti ricevuti anche dalle amministrazioni locali. In Italia: ogni studente della scuola pubblica statale riceve (cioè costa al contribuente) più di 7.000,00 euro all’anno; lo studente della scuola pubblica paritaria primaria riceve circa euro 450,00.

Quello della pubblica paritaria secondaria di I e II grado costa al contribuente statale 50,00 euro all’anno: si potrebbero devolvere alle opere buone dello Stato. Si tratta circa di un milione di studenti: quanto costerebbero allo Stato se defluissero tutti nella sola scuola pubblica statale, come una delle due anime dell’attuale governo (l’altra no) ardentemente desidera? Sette miliardi di euro all’anno. Senza contare, oltre al tracollo economico dello Stato, il danno del regime totalitario. Legittima domanda: ma tutti quei soldi spesi per la scuola pubblica statale portano al miglioramento dell’apprendimento? Risposta: secondo i test PISA 2015, l’Italia si colloca al 23° posto per le abilità scientifiche e al 24° posto per le abilità di lettura. Mala gestione delle risorse dello Stato, dunque, a spese del contribuente. La mancanza di libertà e di confronto, e quindi il regime di monopolio nella cultura – e nell’educazione -, non pagano mai.

In questa situazione, l’unica alternativa possibile alla paralisi del sistema scolastico pubblico tutto, statale e non statale, è la definizione di un costo standard per alunno, presente nel programma della Lega oggi al Governo e pertanto le si domanda: “Che fine hai fatto, su questo punto?”, come si domanda ai pentastellati: “Perché il povero in Italia non può scegliere dove educare il figlio?”.

Lo studio è fatto sulla base di dati reali, presi da esempi virtuosi di gestione. Le famiglie, sulla base della definizione del costo standard, ricevono dallo Stato un voucher spendibile o per la scuola pubblica statale o per la scuola pubblica paritaria.

Lo Stato farà il suo mestiere: essere garante della libertà dei cittadini di educare i propri figli nella buona scuola pubblica che desiderano per loro. Le scuole pubbliche di qualità – statali e paritarie – saranno scelte; le altre lo saranno solo in caso di miglioramento della loro qualità.

Forse, in tal modo, non sarà necessario reintrodurre il servizio militare “per educare i figli, visto che i genitori non lo fanno”; probabilmente, il livello culturale e comportamentale del cittadino italiano si eleverà oltre l’aggressione ai docenti e ai medici nelle corsie ospedaliere e oltre gli insulti al microfono, da parte del personale di bordo, in un mezzo pubblico pagato dai contribuenti. E forse anche la classe politica ne trarrà giovamento, persino nel linguaggio. Forse.