Tribunale di Caltanissetta: sentenza del 06-02-2019.
Con atto di citazione ritualmente notificato i genitori esercenti di un figlio minore convenivano in giudizio il Miur , la Scuola ed altre soggettività coinvolte nel fatto chiedendone la condanna solidale e concorsuale al pagamento della somma di Euro 9.005,06 o di quella minore o maggiore che sarebbe stata eventualmente accertata in corso di causa, oltre interessi legali, rivalutazione e danni esistenziali, a titolo di risarcimento dei danni che il minore si era procurato cadendo, durante una gita scolastica organizzata all’interno di un gazebo.
Esponevano al fine: che il sinistro si era verificato nel 2013 quando la scuola frequentata primaria frequentata dal bambino aveva organizzato una gita scolastica. Durante l’escursione, tutti i bambini, accompagnati da alcune insegnanti e alcuni genitori, erano stati radunati dentro una tensostruttura- gazebo; il minore, mentre si trovava all’interno del predetto gazebo, cadeva scivolando fuori da tale struttura, non saldamente ancorata al suolo, sbattendo su una grossa pietra e riportava, purtroppo diversi danni.
Sulla responsabilità della scuola
In materia di responsabilità della scuola e dell’insegnante, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la sentenza n. 9346/2002, definendo sul punto un lungo dibattito giurisprudenziale, hanno dettato un principio secondo il quale devono essere distinti i casi in cui l’alunno si sia da solo procurato dei danni dai casi in cui lo stesso abbia causato danni a terzi. A giudizio della Suprema Corte mentre a fronte di danni ” autoprocurati” la scuola e l’insegnante rispondono a titolo di responsabilità contrattuale ex art. 1218 c.c., nel caso in cui, invece, l’alunno procuri danni a terzi la responsabilità ascrivibile ai predetti ( scuola e insegnanti) è quella di cui all’art. 2048 c.c., comma secondo, il quale prevede che i precettori e coloro che insegnano un mestiere o un’arte sono responsabili del danno cagionato dal fatto illecito dei loro allievi e apprendisti nel tempo in cui sono sotto la loro vigilanza. Tale distinzione nasce dal fatto che mentre in questa ultima ipotesi il danno è causato da un fatto illecito dell’alunno, in violazione del principio del neminem laedere , nel caso di autolesioni, la mancanza del predetto requisito ( neminem laedere) riconduce al regime della responsabilità contrattuale. Orbene, secondo questo principio, l’accoglimento della domanda di iscrizione da parte dell’istituto scolastico, con la conseguente ammissione dell’alunno alla scuola, fa sorgere un vincolo negoziale cui consegue l’obbligo dell’istituto di vigilare sulla sicurezza e l’incolumità dell’alunno durante le ore in cui fruisce della prestazione scolastica e ciò anche al fine di evitare che l’allievo procuri danni a se stesso. Allo stesso modo con il precettore dipendente si instaura, per contatto sociale, un rapporto giuridico da cui sorge l’obbligo, oltre che di istruire ed educare, anche quello di proteggere e vigilare onde evitare che l’allievo si procuri un danno alla persona ( Cass. n. 5067/2010).
Il vincolo negoziale all’atto dell’iscrizione nella scuola
A riguardo secondo un principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità l’accoglimento della domanda di iscrizione, con la conseguente ammissione dell’allievo alla scuola, determina l’instaurazione di un vincolo negoziale dal quale sorge a carico dell’istituto l’obbligazione di vigilare sulla sicurezza e l’incolumità dell’allievo nel tempo in cui fruisce della prestazione scolastica in tutte le sue espressioni ( Cass. n. 3680/2011); è onere della scuola dimostrare in concreto, benchè anche solo per presunzioni, che le lesioni sono state conseguenza di una sequenza causale ad essa non imputabile, se non anche quella di avere adottato, in via preventiva, le misure organizzative e disciplinari idonee ad evitare prevedibili situazioni di pericolo favorevoli all’insorgere della serie causale sfociante nella produzione del danno ( Cass. Civ. 9542/2009). Ed ancora. Proprio perché il rischio che, lasciati in balia di se stessi, i minori possano compiere atti incontrollati e potenzialmente autolesivi, all’istituzione è imposto un obbligo di diligenza per così dire preventivo, consistente, quanto alla gita scolastica, nella scelta di vettori e di strutture alberghiere che non possano, né al momento della loro scelta, né al momento della loro concreta fruizione, presentare rischi o pericoli per l’incolumità degli alunni ( Cass. n. 1769/2012).
Va valutata l’adeguatezza del luogo per le gite scolastiche in relazione all’età
Orbene, applicando tali principi al caso di specie non può non affermarsi la responsabilità in capo al convenuto Miur per non avere lo stesso valutato, vista la tenera età degli allievi e la loro naturale vivacità, l’inadeguatezza del luogo scelto per una gita scolastica, salvo prevedere l’accompagnamento dei minori da parte dei genitori. Sul punto, vale la pena richiamare una sentenza della Corte di Cassazione ( n. 18167/2014), condivisa da questo giudice e assolutamente applicabile alla specie. Con la citata sentenza la Corte di Cassazione, in particolare, ha richiamato i principi dettati dalle sentenze n. 7276/1997, n. 12401/2013, n. 11657/2014.Nella prima pronuncia, riguardante il caso di un bambino caduto da un’altalena, la Corte ha escluso la responsabilità del Comune ai sensi dell’art. 2051 c.c. ritenendo che l’altalena, pur presentando in astratto qualche elemento di pericolosità, era adeguata agli standard dei manufatti del genere destinati ai parchi giochi; la seconda sentenza, sul caso di un bambino caduto dal dondolo di una giostra collocata all’interno di un parco giochi, la corte di Cassazione ha stabilito che la messa a disposizione di un parco giochi, a perfetta regola d’arte, da parte del titolare di un ristorante, non implica, a carico di costui ,alcun obbligo di sorveglianza sui minori che usano dette attrezzature. Nell’ultima e più recente pronuncia, questa Corte ha specificato che la caduta di un bambino ( in quel caso di cinque anni di età) da uno scivolo è un evento certamente prevedibile ed evitabile con un grado normale di diligenza. In tutti i casi richiamati…si è affermato che l’utilizzo delle strutture esistenti in un parco giochi- a meno che non risulti provato che le stesse erano difettose…….non si connota di per sé una particolare pericolosità ….presuppongono comunque una qualche vigilanza da parte degli adulti. In altri termini, un genitore ( o, comunque, un adulto) che accompagna un bambino ( nel caso esaminato dalla Corte il bambino aveva sei anni mentre nella fattispecie il piccolo M. aveva sette anni), in un parco giochi deve avere ben presente i rischi che ciò comporta, non potendo poi invocare come fonte dell’altrui responsabilità, una volta che la caduta dannosa si è verificata, l’esistenza di una situazione di pericolo che egli era tenuto doverosamente a calcolare. ( Cass. civ. n. 18167/2014).
Per questi principi veniva condannato il MIUR a rifondere parte dei danni richiesti.
da OrizzonteScuola – 11 aprile 2019