PENSARE E DELIRARE:
“Vigliacchi, mi fate schifo, dovete morire”
“Uno in meno e chiaramente con lo sguardo poco intelligente. Non ne sentiremo la mancanza”
Con le tante problematiche che irrompono nel nostro vivere quotidiano ci eravamo ormai dimenticati di quella docente che nel febbraio scorso durante una manifestazione antifascista inveiva contro i poliziotti schierati in divisa antisommossa gridando di fronte alle telecamere: “Vigliacchi, mi fate schifo, dovete morire”.
L’immagine pubblicata sui social unitamente agli insulti pronunciati aveva lasciato tutti sbigottiti proprio per il ruolo che la protagonista dell’episodio rivestiva in una scuola elementare di Torino. Come era possibile un tale atteggiamento da parte di una persona investita del ruolo educativo nei confronti dei bambini di una classe elementare? Possibile, incredibilmente vero, tantissimo vero da indurre un agente a dichiarare: “La giovane è componente del centro sociale Gabrio”. “La digos la conosce molto bene e non va presentata come una professoressa impazzita durante un corteo”. Tra le sue attività: “occupazioni, imbrattamenti e manifestazioni di piazza”.
Ancora più sconvolgenti le sue spiegazioni sul perché non era sbagliato augurare la morte agli agenti: “Stanno difendendo i fascisti”.
Come dicevo, tutto era ormai quasi dimenticato. La docente era stata licenziata ed il caso si era chiuso definitivamente. Rimaneva solo nei nostri animi l’eco di quelle invettive: “Vigliacchi, mi fate schifo, dovete morire”.
Ma ecco improvvisamente riesplodere in noi disorientamento, sconcerto e amarezza per uno scandaloso post pubblicato nei giorni scorsi sul profilo social di una docente di Novara rivolto al vicebrigadiere Mario Cerciello Rega, ucciso venerdì a Roma: “Uno di meno” e chiaramente con uno sguardo poco intelligente. Non ne sentiremo la mancanza”.
Questo post è la dodicesima pugnalata mortale che il carabiniere ha ricevuto, perché con le parole si può anche uccidere.
Inaudito e vergognoso che tali brutalità siano espresse nei confronti di un carabiniere in servizio, ma ancor più infami sono tali espressioni perché provenienti da una docente e quindi da una persona in possesso di appropriatezza di linguaggio, di intelligenza e ottime qualità culturali, tanto da autodefinirsi “artista concettuale”. Non si tratta quindi di una “sprovveduta”, ma di una persona consapevole del proprio ruolo, pienamente cosciente e responsabile di ciò che fa e afferma. Conseguentemente il suo post non è stato un gesto inconsulto o impulsivo, un “incidente”, ma un atto che la docente ha pienamente deliberato, scientemente voluto, ben consapevole del messaggio ignobile che pubblicava, dell’eco che avrebbe avuto sui social, delle conseguenze che avrebbe provocato.
A conferma di ciò vi è la testimonianza di una guardia della Polizia Penitenziaria di Novara che svelerebbe come gli insulti fatti dalla docente non sarebbero stati pronunciati per la prima volta: “Ho conosciuto questa persona circa un anno fa! Appena finito il turno di servizio sono passato a prendere la mia compagna al lavoro e prima di tornare a casa ci siamo fermati in un supermercato di Novara per fare un po’ di spesa! Premetto che ero in uniforme e con l’arma d’ordinanza». Ebbene, a quel punto una signora borbotta col figlio dietro di lui e attacca: “Ma che schifo è questo, come si fa ad andare in giro cosi, è una vergogna” e altre frasi simili!! Quindi mi sono girato e ho chiesto: “signora ma c’è qualche problema?” E lei mi ha aggredito verbalmente dicendomi che non potevo andare in giro in quel modo. Il caso poi prosegue visto che la tal docente avrebbe anche chiesto ai responsabili del supermercato di buttar fuori quella guardia carceraria dal negozio: “altrimenti non sarebbe più andata lì a fare la spesa”! Naturalmente il responsabile le ha risposto di no e si è avvicinato a me mortificato e chiedendomi scusa per l’accaduto. In quel frangente ho pensato che fosse una signora con qualche problema ed ho chiuso lì il discorso. Solo ora ho capito che è addirittura una professoressa! E questi dovrebbero insegnare ai nostri/vostri figli il rispetto delle leggi dello stato e l’educazione? Poi ci lamentiamo che i ragazzi di oggi non hanno nessun rispetto… Non ho più parole!” ».
Sarà pure una docente qualificata, competente culturalmente, ma con questo gesto ha dimostrato notevole mancanza di equilibrio nel proprio comportamento, scarso raziocinio e soprattutto totale mancanza di sensibilità umana e di consapevolezza civile. Un soggetto con tali caratteristiche non può certo lavorare nella scuola.
Anche in questo caso è stato avviato un procedimento disciplinare a suo carico, contestando “la violazione dei doveri d’ufficio per avere tenuto una condotta gravemente in contrasto con la funzione educativa e gravemente lesiva dell’immagine della scuola, della pubblica amministrazione, degli alunni e delle famiglie”.
L’indignazione è unanime, ad iniziare dal ministro dell’Istruzione, Marco Bussetti: “Colgo l’occasione per ribadire la mia vicinanza alla famiglia e a tutta l’Arma dei Carabinieri. Poi voglio sottolineare con forza che le parole scritte dalla docente non sono assolutamente compatibili con la condotta di chi è chiamato a educare e istruire i nostri figli. Per questo l’Ufficio scolastico competente, quello del Piemonte, avvierà immediatamente un procedimento disciplinare nei confronti di questa insegnante. Si procederà con estrema rapidità”.
Il presidente della Regione Alberto Cirio e l’assessore all’Innovazione Matteo Marnati sono stati ancora più espliciti: «Un soggetto del genere non può stare all’interno di una scuola e, meno che mai, nel ruolo delicato e importante di chi ha la responsabilità di educare e insegnare ai nostri figli il rispetto per lo Stato, per le istituzioni e per chi le rappresenta ogni giorno».
Anche il maggiore dei Carabinieri Marco Belladonna ha voluto inviare alla professoressa di Novara una lettera: «Carissima Professoressa, chi le scrive è un Ufficiale Superiore dei Carabinieri, si documenti, se vuole sul grado e le gerarchie perché non è questo il punto. Sono un Carabiniere e sono orgoglioso di esserlo, sono una Medaglia di Bronzo al Valor Civile per aver fatto desistere, nel 1998, un uomo da intenti suicidi. L’uomo era armato di fucile da caccia e sono rimasto chiuso in casa sua per un’ora, parlando con lui e alla fine lui è ancora in vita e io, per fortuna, pure dato che avevo il suo fucile carico puntato contro. Durante la mia carriera ho avuto altre vicissitudini che non sto a elencare. Insomma, noi dallo sguardo poco intelligente ogni giorno rischiamo la vita, come la rischiano tanti altri lavoratori nei confronti dei quali non ci si rivolge come lei ha fatto verso il collega morto ieri a Roma, l’ennesimo. Io non la giudico e non sono qui ad attaccarLa perché comunque, Lei starà facendo i conti con la sua coscienza in questo momento».
«Sono qui per suggerirLe di comperare un biglietto per Somma Vesuviana per domani per poter partecipare ai funerali del collega cosicché possa chiedere scusa alla vedova, o in alternativa potrebbe andare a Roma al nostro Comando Generale e scusarsi con il nostro Comandante Generale per quanto Lei ha scritto. Vede io, comunque, ho scelto di difenderLa e di difendere anche chi pensa che noi siamo per strada per uno stipendio sicuro, per il posto fisso ed altre cose simili ed anche per Lei che magari è convinta che noi, Carabinieri, abbiamo lo sguardo poco intelligente. Un ultimo consiglio, quando è in auto, a piedi o in bici e vede delle persone in uniforme, si fermi e vada incontro ad esse e le ringrazi perché se Lei va in giro tranquilla e serena è per merito loro che quando Lei dorme loro vegliano su di Lei, che quando si diverte loro sono lì a sorvegliare affinché possa divertirsi senza pensieri e così via. Nel suo profilo ho visto che Lei è madre di un bellissimo bimbo, bene; gli racconti che sebbene noi abbiamo lo sguardo poco intelligente, lui potrà stare al sicuro finché ci siamo noi e che non dovrà mai aver paura di nulla quando vede un uomo in uniforme. Mi scusi se mi sono permesso».
Basterebbe questa bellissima lettera a far riflettere la “professoressa” (!) sul proprio delirare e “andare a Canossa”, cosi si suol dire.
Anch’io, con tutti gli altri operatori scolastici che rappresento, esprimo il più profondo sdegno per le espressioni deliranti manifestate da entrambe le insegnanti, idiozie che fanno perdere credibilità alla scuola, dove un’umanità condivisa dovrebbe essere il primo valore da trasmettere e difendere.
Atteggiamenti ideologici come quelli da loro dimostrati contraddicono l’identità culturale e sociale dell’istituzione scolastica, ingenerando nell’opinione pubblica l’idea di una deprofessionalizzazione del corpo docente, a cui si deve chiedere sempre e ovunque una coerenza educativa, perché, come ha sentenziato il Tribunale di Torino “si resta docenti anche fuori dalle aule”.
Si sono spesi migliaia di euro per l’educazione alla legalità, ma forse si è sbagliato a coinvolgere solo gli studenti, perché visto quanto è successo si sarebbero dovuti interessare i docenti, insegnando a loro per primi il senso critico. E così pure dovrebbe essere per «l’educazione civica» e «l’educazione alla Costituzione». Forse allora si potrà porre un argine al “relativismo in libera uscita e all’autoreferenzialità ideologica” di certi “cattivi maestri”, abbruttiti “dal loro disprezzo dei valori, dal loro smarrimento di significati, dal loro capovolgimento della morale”, giungendo al punto di ignorare i fondamentali della nostra comunità civile e nutrire un odio profondo per le forze dell’ordine.
Questa devianza culturale, questa cultura dell’odio e della violenza deve essere estirpata dal nostro sistema scolastico senza esitazioni di alcun genere, perché è inaccettabile che alberghi in un docente, che dovrebbe invece insegnare ai propri studenti prima di tutto il “vivere civile”.
Questi cattivi maestri sono incompatibili con l’esercizio dell’insegnamento e la scuola ne può davvero fare a meno, perché gli studenti non meritano docenti che incitano alla violenza e all’odio.
Come docente mi sento profondamente turbato per le ignobili parole di una persona che non voglio neppure chiamare “collega” perché ha disonorato tutti gli onesti lavoratori della scuola che ogni giorno sentono la responsabilità di educare i giovani ed insegnano loro il rispetto per lo Stato e le sue Istituzioni. Non vogliamo tra noi pseudo docenti che urlano con una bottiglietta di birra in mano “dovete morire!” contro i poliziotti durante una manifestazione di centri sociali, non vogliamo tra noi chi scrive “Uno in meno» sui social” riferendosi ad un carabiniere appena ucciso.
Mario, ti accusano di avere “lo sguardo poco intelligente”, ma se anche così fosse hai dedicato e sacrificato la tua vita per garantire sicurezza e legalità a tutti i cittadini, anche a chi, magari con lo sguardo intelligente, se ne sta seduta comoda dietro una cattedra senza esserne degna e senza rischiare la vita. “Uno di meno”, sì certo, un angelo custode di meno che lavora in silenzio. A te, Mario, rispetto e riconoscenza, e stai pur certo che ogni cittadino onesto non ti dimenticherà e ne sentirà la mancanza, perché quando viene ucciso un carabiniere lascia un vuoto incolmabile non solo tra i suo cari e nell’Arma, ma nell’animo di ogni Italiano.
Onore al vice brigadiere Mario Cerciello Rega, morto per tutelare i diritti di tutti, anche di chi l’ha ingiuriato.
Milano 1 agosto 2019
Giuseppe Antinolfi
Segretario Provinciale
SNALS CONFSAL di Milano