Venghino, siori, venghino al grande Circo in questa pubblica piazza. Ce n’è per tutti i gusti. Venghino, siori, venghino, si affrettino! Lo spettacolo sta per cominciare!
Atto I
Non è mai capitato nella storia della Repubblica italiana che un ministro della Pubblica Istruzione fosse accusata di “scarso eloquio scritturale”, di “errori sistematici e puntuali”, di “bagli che vanno ben oltre il ‘normale’ lessico”, di “mancanza della concordanza tra sostantivo e verbo”, di “uso di ‘neologismi’ del tutto fantasiosi”, di “o(e)rrori nell’uso dei tempi verbali”, dell’ “uso terrificante dei segni di interpunzione, privi di qualsiasi ratio alla base”.
Scrive il giornalista Gianluca Veneziani: «Leggendo come scrive quando non copia, non sai se sia peggio il plagio o lo scempio; cioè, se sia più riprovevole riprendere scritti altrui senza citarli o viceversa usare farina del proprio sacco, abbondando in orrori grammaticali, mostruosità sintattiche, apostrofi, accenti e virgole distribuiti ad capocchiam e parole fuori luogo o senza senso».
Inaudito: Lucia Azzolina è abilitata all’insegnamento secondario! Poveri studenti.
Gli strafalcioni grammaticali del ministro Azzolina avranno fatto rivoltare nella tomba l’ex ministro della Pubblica Istruzione Tullio De Mauro, il più importante studioso della lingua italiana.
Atto II
Nelle scorse settimane si è parlato molto dell’articolo del prof. Massimo Arcangeli, docente ordinario di Linguistica, in cui si sostiene che Azzolina per la sua tesi per l’abilitazione all’insegnamento nelle scuole superiori dal titolo “Un caso di ritardo mentale lieve associato a disturbi depressivi” abbia attinto informazioni da numerosi manuali senza citarli, neanche nella bibliografia, e senza virgolette.
La denuncia del linguista è precisa: “Confrontando diversi passi dell’estratto del lavoro disponibile online, corrispondente alle prime tre pagine, con i rispettivi originali, si scopre che più o meno la metà di quel che c’è scritto in quell’estratto è il risultato di un plagio. E la ministra dell’Istruzione non solo non virgoletta quel che non è farina del suo sacco, e già il fatto sarebbe di per sé molto grave, ma nei luoghi corrispondenti ai passi interessati, per giunta, non cita nessuna delle fonti cui ha attinto a man bassa”. I testi presi in esame, da cui avrebbe copiato la Azzolina, sostiene Arcangeli, non sarebbero nemmeno citati nella bibliografia finale della tesi.
Atto III
Non è la prima ad essere accusata di plagio, perché anche Marianna Madia, ex ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, ha agito allo stesso modo della Azzolina copiando la tesi del dottorato.
Nel caso della Azzolina però la polemica è rovente perché si tratta proprio del ministro delegato alla Pubblica istruzione e pertanto il fatto è ancor più che grave.
Il ministro si difende affermando che nel caso specifico non si tratta di una tesi di laurea né di un plagio. Ma dove sta scritto che la tesina per l’abilitazione all’insegnamento sia meno importante della tesi di dottorato?
Allora la Madia fu costretta a dimettersi dal M5S (il partito della Azzolina), gridando in Parlamento Honestà, Honestà!
Ed ora? Il M5S sta zitto, non grida più Honestà, Honestà! Certo, si tratta di un proprio ministro e quindi la morale cambia: pondus et pondus, mensura et mensura – due pesi due misure.
Scrive una lettrice: “In Toscana si usa una espressione volgare e non politically correct che però ben si adatta a casi del genere: ‘Tutti son bravi a fare i finocchi con i culi degli altri’.”
Atto IV
È fuori di dubbio che una tesi presentata agli esami per ottenere l’abilitazione all’insegnamento sia molto più importante di un elaborato svolto dagli studenti. Ergo, se il ministro afferma che si tratti di una “irrilevante” relazione di fine tirocinio e che non si tratti di plagio significa che è legittimo scopiazzare impunemente in tutti i compiti scolastici.
Attenti docenti, l’ha detto il ministro, si può copiare e pertanto, in attesa di una apposita circolare, nessuna punizione agli studenti che copiano durante uno scritto.
Il prof Marco Santambrogio, docente di Filosofia del Linguaggio all’Università di Parma, scrive: “Citare è una cosa, copiare senza dirlo è un’altra. La prima è lecita, la seconda è un plagio – una scorrettezza grave. Omettere le virgolette da una citazione è un plagio. Lo è anche riportare un passo da altri con poche modifiche inducendo il lettore a credere che sia farina del vostro sacco. Negli articoli succitati non c’è ombra di virgolette che permettano al lettore di suppore che i brani in esame potrebbero essere tratti da altre fonti. Essendo dunque i passi del tutto simili, fatta eccezione per alcune brevi espressioni riportate con qualche piccola modifica, sarebbe stato lecito aspettarsi gli opportuni rimandi alle fonti: è una questione di correttezza, di etica e, ovviamente, anche di eleganza”.
Atto V
Ma c’è di peggio che copiare, come pubblicato il 3 febbraio 2020 sul quotidiano Libero in un articolo del giornalista Gianluca Veneziani dal titolo: “Lucia Azzolina e la tesi: tutti gli orrori della ministra all’Istruzione tra grammatica e punteggiatura a caso”.
«Signorina, veniamo noi con questa mia addirvi una parola che, scusate se sono poche, ma settecentomila lire punto e virgola noi ci fanno specie che questanno c’è stato una grande moria delle vacche, come voi ben sapete! Punto! Due punti! Ma sì, fai vedere che abbondiamo. Abbondandis in abbondandum». Siamo d’ accordo, stiamo parlando di un modello inarrivabile, ossia la lettera scritta da Totò e Peppino. Ma c’è chi gli ci si avvicina molto, una signorina di nome Lucia Azzolina, membro dei 5 Stelle, che di mestiere fa il ministro dell’Istruzione.
«LA SVIRGOLATA»
La prassi più ricorrente del ministro, allora studentessa, si potrebbe definire “la svirgolata”, ossia l’utilizzo sballato delle virgole, messe in luoghi impropri, spesso sparse a pioggia, forse in nome del motto di Totò «fai vedere che abbondiamo». Ecco alcuni esempi che testimoniano la sua abitudine di far seguire «che», «ma» ed espressioni come «se pertanto» direttamente da una virgola: «È importante ricordare che, gli uomini selvaggi di cui parla Rousseau, non sono quelli che gli europei trovarono in America», «Se pertanto, aveva queste garanzie non necessitava dell’ aiuto di nessuno», «Ma, le speranze di Voltaire verranno decisamente smentite».
Si badi bene, non si tratta di refusi perché sono errori sistematici che si ripresentano puntualmente. Un’altra pratica frequente nella scrittura di Azzolina è la mancata concordanza di persona tra sostantivo e verbo: se il primo è singolare, il secondo, chissà perché, diventa plurale. Date un’occhiata qui: «La violenza delle sue opinioni religiose e politiche preoccuparono sempre più i suoi protettori ed amici», «Lo scambio di opinioni tra Rousseau e Voltaire rappresentano l’esempio», «La saggezza delle leggi e dell’autrice della legge sono rilevabili dalla permanenza delle leggi».
Regola imprescindibile suggerita dal Nuovo Dizionario Aggiornato Azzolina è anche lo scrivere il «sì» avverbio e il «dà» verbo senza accento. Vedere per credere: «Vivere in tal modo, cioè con continue paure, non da neanche la possibilità di sviluppare seriamente un lavoro», «Egli grida il nome di Dio per far si che la scossa sia più forte». Viceversa, espressioni come «qual è» e «qual era» vogliono tassativamente l’apostrofo: «Di conseguenza qual’è la motivazione per la quale gli uomini si associano?», si chiede l’allora laureanda. E ancora: «Da egocentrico qual’era, Rousseau pensava che». Azzolina, un apostrofo rosa tra le parole «qual’è».
Sempre nella logica di abbondare, l’attuale ministro, da studentessa, metteva sempre un «ne» di troppo: «Il progetto roussoiano doveva essere quello di scrivere () un’opera, della quale il Manoscritto di Ginevra ne costituiva solo un capitolo»; o «Bisognava ricostruire la storia dell’uomo per capirne i suoi cambiamenti». La parte più divertente riguarda le parole inventate di sana pianta, neologismi azzoliniani quali «sottoforma» e «riassuntato», o espressioni dall’effetto comico come «Aveva perso gli amici, pensava che fra questi si ardisse una congiura contro di lui».
Ma dove forse la Azzolina dà il meglio di sé è nell’uso dei modi verbali, in cui affiora la malattia comune a molti suoi colleghi di partito, la “congiuntivite”. In alcuni casi il congiuntivo scompare a favore dell’indicativo: «Voltaire riteneva che Rousseau non seppe sfruttare il talento del suo intelletto» (con tanti saluti a «sapesse»); in altri, a vantaggio del condizionale: «Rousseau sostenne che certe morti premature potessero essere benefiche laddove avrebbero colpito senza che gli uomini se ne fossero accorti». Altrettanto agghiacciante è il ricorso a verbi intransitivi, quali «esulare», che nell’italiano creativo di Azzolina diventano miracolosamente transitivi: «L’uomo si arroga il diritto di conoscere una delle risposte che esulano di molto le sue limitate capacità».
Due chicche ulteriori rendono bene l’idea della padronanza lessicale e sintattica della titolare dell’Istruzione. La prima fa riferimento «ad una sovrappopolazione che manca di risorse per nutrirsi»; la seconda è una summa dell’orrore: «Rousseau difende una morte naturale e repentina dovuta ad una natura buona che in questo modo preserva l’uomo da inopportune sofferenze e, accusa di mali più crudeli gli uomini che, nel momento in cui, si approfittano del più debole compiono orrori infinitamente peggiori rispetto a quelli di cui la natura verrebbe accusata da Voltaire». Viene voglia di gridare basta.
TESTI IMBARAZZANTI
Infatti la finiamo qui, non prima però di aver sentito il parere del prof. Arcangeli. «Sono testi imbarazzanti», ci dice. «Raramente mi capita di vedere fenomeni a questi livelli nelle tesi dei miei studenti. Quello che mi ha sconcertato di più è l’uso terrificante dei segni di interpunzione, privi di qualsiasi ratio alla base. Certo, in questo caso bisogna anche considerare le responsabilità dei prof che, almeno per la magistrale, avrebbero dovuto controllare i testi e invece, con leggerezza, hanno consentito ad Azzolina di laurearsi con lavori scritti in quel modo».
Ma il discorso si potrebbe estendere anche ad altri ex ministri dell’Istruzione, si pensi solo agli svarioni di Valeria Fedeli. «Ricorrendo a una boutade», continua Arcangeli, «lancerei l’idea di sottoporre i candidati alla poltrona di quel ministero a un test preventivo di lingua italiana. Personalmente però trovo ancora più grave che la Azzolina abbia ripreso interi passaggi della sua tesi di abilitazione all’insegnamento da testi specialistici senza citarli in bibliografia. Mi chiedo: se dovesse parlare agli studenti di una scuola superiore, con che faccia potrebbe spiegare loro come attingere correttamente alle fonti?». Nondimeno l’altro giorno il ministro ha detto fieramente di sé: «Nella mia vita ho sempre studiato e ha funzionato bene». A leggere le sue tesi, non si direbbe. Che, ne pensasse, di questo, Lucia, Azzolina? – Gianluca Veneziani
FINALE
Con un ministro simile le bocciature degli studenti dovrebbero essere tutte abolite ope legis. Se con tutti gli spropositi grammaticali e sintattici Lucia Azzolina è riuscita a laurearsi, ad ottenere l’abilitazione all’insegnamento nelle scuole superiori, a conseguire l’idoneità al Concorso a dirigente scolastico, a diventare ministro, anche tutti gli studenti delle scuole italiane meritano tutti di essere promossi ad honorem.
Il futuro della scuola italiana è affidata ad un siffatto ministro? La scuola è finita! La scuola non c’è più! La scuola è morta!
È PROPRIO VERO: AL PEGGIO NON C’È MAI FINE!
Che imbarazzo, ministro mio!
Giuseppe Antinolfi
Segretario Provinciale
SNALS CONFSAL di Milano