La gestione del sistema scuola da parte della ministra Azzolina e del governo è piena di ripensamenti, incertezze ed errori. Lo stesso vale per il Piano Colao
da Il Sussidiario – Silvia Ballabio
La gestione a dir poco incerta e attendista della ministra Azzolina e dei suoi esperti (il sole ucciderà il Covid-19 e le scuole riapriranno per miracolo come se nulla fosse accaduto) rispecchia fedelmente la linea di condotta del governo, e ha fatto emergere in modo drammatico le criticità del sistema scuola. Un apparato burocratico che può procedere elefantiaco in situazioni ordinarie, perpetuando se stesso, ma incapace di affrontare emergenze. Fare la cronistoria di ripensamenti, contraddizioni, incertezze, errori, puntelli offerti dal governo Conte alla ministra per evitare rimpasti pericolosi per il proseguo della legislatura potrebbe solo mostrare quello che è sotto gli occhi non solo dei docenti, ma dell’intera società italiana.
Se, da una parte, studenti e genitori possono, a seconda delle situazioni specifiche, territoriali, di classe, addirittura di singolo docente, aver sperimentato la presenza di una tradizione didattica ancora capace di continuità nell’innovazione forzata della Dad, dall’altra parte è evidente il fallimento del sistema scuola alla coscienza collettiva, sia a livello individuale, come assenza di un servizio formativo nei mesi del lockdown, sia e soprattutto a livello collettivo come assenza di una linea che non fosse tecnica, ma politica, vale a dire una linea di condotta su voti, esami di Stato, scrutini, Dad e valutazione che comportasse l’assunzione di un rischio decisionale.
Una valutazione che avrebbe dovuto essere politica, e non è stata neanche tecnica. Sarà giudicata dagli elettori nelle sedi opportune.
Certo, non se ne parlerà negli Stati generali attualmente in corso, che relativamente al comparto istruzione presentano dal piano Colao proposte quali (cito testualmente) “Lanciare una campagna di volontariato che affianchi le strutture pubbliche (ovviamente senza sostituirle) nel supporto della formazione”, sia “cash” che “in kind”: quali 20 sabati formativi all’anno in cui “grandi aziende high tech, enti di ricerca e università fanno corsi di aggiornamento su temi innovativi agli insegnanti di liceo e medie. Le lezioni possono essere frontali o a distanza. I contenuti vanno sincronizzati e resi omogenei a livello nazionale. L’iniziativa è gratuita”.
La parola che ricorre più frequentemente in questa sezione del documento è “gratuitamente”, e la sezione istruzione si occupa quasi integralmente del mondo universitario.
Nulla di nuovo sotto il sole. La scuola è affare del Miur, vale a dire dell’apparato burocratico “senza oneri per lo Stato”. È ironicamente interessante che il mantra utilizzato contro il “finanziamento” delle scuole paritarie si ritorca anche in questa occasione emergenziale contro tutta la scuola.
Avviato l’esame di Stato 2020 con il colloquio, unica prova che i candidati affronteranno quest’anno, ed essendo archiviata la Dad con la chiusura delle attività didattiche, delle varie patate bollenti sul tavolo della ministra rimangono “solo” il problema della riapertura della scuola, e quello dei privatisti ancora da convocare in presenza per i preliminari dal 10 luglio e poi, secondo una bozza in circolazione, da metà settembre in presenza.
La riapertura è la punta dell’iceberg della linea non politica dell’attuale gestione della scuola; già la data della riapertura, il 14 settembre, dopo un periodo dedicato ai Pai e alla sessione degli esami di Stato per i privatisti (sembrerebbe ad oggi) crea perplessità per la necessità di collocare le elezioni regionali di Veneto, Campania, Toscana, Liguria, Marche, Puglia e Valle d’Aosta, e le comunali, slittate causa emergenza Covid-19, con la conseguente apertura e poi chiusura delle scuole per poterle adibire, ovviamente con adeguate procedure di sanificazione dopo quelle appena fatte per la riapertura, a seggi elettorali.
Non potendo confidare per settembre né sulla Dea bendata che ce le faccia scampare tutte, né sul vaccino che ha tempi non corrispondenti ai desiderata segreti del Miur, e nemmeno sulla clemenza di un clima non più mediterraneo che consenta agli studenti di far scuola in tensostrutture o all’aria aperta, da cosa dovrebbe ripartire la scuola a settembre?
Non si dica dai docenti, e non certo perché non ve ne siano di validi e anche creativi, e nemmeno dagli studenti, pur con tutta la dinamica potenziale di giovani menti. Se è vero che la scuola è relazione in presenza, e in quanto tale capace di accogliere anche la Dad come espressione non univoca, allora occorre dare alla scuola quello che le serve: i plessi e i docenti.
Spaventa, certo, la possibilità di una nuova pandemia, spaventa l’attuale crisi economica e sociale; ma spaventa ancora di più la totale assenza di suggerimenti nel piano Colao e ancor più nelle linee del governo di un piano nazionale di edilizia scolastica che dia alle scuole quei campus attrezzati per le attività laboratoriali di ogni genere e tipo e anche per quelle sportive e sociali che sono invece se non la norma almeno non la mosca bianca in Europa.
Spaventa anche la mancanza di una decisione politica che obblighi i supplenti a rientrare in servizio a settembre per consentire l’attuazione reale dei piani Pai e Pia da loro approvati.
Sono state attivate procedure straordinarie per il reclutamento di specializzandi in medicina nella fase acuta della pandemia; ammettere che a fronte di tre mesi abbondanti di chiusura delle attività didattiche si è ancora in fase emergenziale (almeno fino al 30 giugno) e garantire continuità didattica agli studenti in via eccezionale per un anno è mossa così azzardata rispetto alle istanze sindacali di assunzione per tutti e subito?