Secondo una ricerca uscita su Lancet l’isolamento sociale ha diminuito le funzionalità cognitive degli adolescenti. Gli effetti saranno di lungo termine.
La scuola a breve dovrà confrontarsi con il rientro degli studenti dopo mesi di lockdown e didattica a distanza dovuti all’emergenza sanitaria Covid-19. Sono mille le domande e i dubbi della scuola, e in particolare dei dirigenti scolastici, che dovranno affrontare importanti problematiche organizzative e didattiche. Saranno i docenti però i soggetti chiamati al compito più impegnativo: incontrare gli alunni e accoglierli valutando il modo migliore per ri-cominciare insieme un percorso scolastico sereno e proficuo. Ma quali alunni si ritroveranno davanti questi docenti? Saranno gli stessi bambini e adolescenti di prima o saranno in qualche modo cambiati? E come ci si dovrà porre nei loro confronti?
A queste domande hanno provato a rispondere i ricercatori dei dipartimenti di Psicologia e di Scienze cognitive dell’Università di Cambridge, con un intervento recentemente pubblicato su The Lancet Child & Adolescent Health. Secondo la loro ricerca, che ha incrociato i dati risultanti da diverse fonti e discipline, i docenti dovranno affrontare una situazione piuttosto difficile. La fascia di età dell’adolescenza (che ormai viene compresa tra i 10 e i 24 anni) sembra infatti essere stata segnata in modo particolare dalla deprivazione di contatti interpersonali causata dall’isolamento e dal distanziamento che l’emergenza sanitaria ha imposto.
Di norma, durante l’età evolutiva, lo sviluppo cognitivo, comportamentale, affettivo e dell’identità sono potentemente stimolati dall’incontro reale, face to face, con il quotidiano contesto relazionale e in particolare con quello del gruppo dei pari. Incontro che però, durante il lockdown, è in gran parte mancato, quando non è mancato del tutto nonostante l’ausilio delle nuove tecnologie.Con conseguenze non da poco: secondo i ricercatori l’isolamento sociale è causa di mancato sviluppo delle aree del cervello deputate alle funzionalità cognitive dell’apprendimento e della motivazione, di inibizione delle competenze relazionali e sociali, di aumento di casi di depressione e altri disturbi psichiatrici, di intensificazione della propensione ai diversi tipi di dipendenza (da quella relativa alle sostanze a quella digitale).
Di particolare gravità, e quindi di interesse per il mondo scolastico, è il fatto che, nelle previsioni di questi studiosi, tali deficit si manterranno sul lungo termine (addirittura per anni) data la loro natura di tipo strutturale e organico, originatasi da una mancanza di stimoli esterni che ha limitato l’evoluzione della plasticità cerebrale. Una lacuna con cui quindi si dovrà fare i conti per molto tempo, forse per l’intero ciclo scolastico degli alunni che hanno vissuto il lockdown, e che dovrà essere oggetto di particolare osservazione da parte di tutte le scienze umane che si occupano dell’educazione e della salute psicologica di questi ragazzi.
Una situazione impegnativa, ma anche interessante e tutta da approfondire e gestire con cura e passione da parte di tutti coloro che, lo speriamo, a settembre daranno il benvenuto ai nostri figli nelle aule scolastiche.
da Il Sussidiario 9 agosto 2020