L’autonomia è continuamente sbandierata da chi governa la scuola ma svuotata nella pratica. Eppure è l’unica possibilità di salvare il sistema. La scuola è ormai iniziata da qualche settimana e, come è ormai (brutto) uso di questo nostro amato Paese, politica e mass media parlano solo di banchi a rotelle, di proteste sindacali e delle uscite (non sempre felici) del ministro Azzolina.
Per fortuna, nel contempo, c’è anche una rinascita di interesse culturale sulla scuola: editorialisti, accademici, saggisti, personalità della cultura, dell’impresa, della società, intervengono ormai quasi quotidianamente a rimarcare l’importanza dell’istruzione, dell’educazione e della formazione (utilizzo non a caso tutte queste tre espressioni) per l’edificazione delle persone e delle società.
Vorrei accodarmi a questi ultimi per evidenziare un aspetto che mi sta molto interrogando e stimolando culturalmente in questo periodo di post (speriamo) pandemia. Potrei definirlo sinteticamente così: l’eredità “buona” del Covid per la scuola.
L’accidente drammatico del Coronavirus ha, infatti, sorprendentemente generato un imprevisto nelle scuole: ha risvegliato l’iniziativa, la libertà del progettare, la comunità scolastica ha riscoperto e reinterpretato la relazioni educative, la didattica digitale ha fatto comprendere l’urgenza del progresso scientifico e nel contempo la necessità di preservare il nucleo della relazionalità umana. Insomma un vero imprevisto: un evento non prevedibile che ha generato un moto positivo, di ricerca della verità delle cose e dei rapporti.
Come scriveva Giorgio Chiosso proprio sul Sussidiario nel bel mezzo della pandemia, la stragrande maggioranza dei docenti si è dimostrata all’altezza del compito di “educatori” e non solo di “meri forgiatori di competenze”. Il che altro non è che uno di quegli aspetti dell’autonomia, quella didattica, che ha solo bisogno di essere liberata e valorizzata.
Questo non toglie il disagio per ciò che ancora manca (la soluzione della questione della professionalità docente prima di tutto), per ciò che il Covid ha portato allo scoperto (la fragilità delle nostre infrastrutture edilizie e digitali), e neppure fa venire meno la preoccupazione per ciò che potrebbe accadere se non ci saranno robusti interventi (aumento della dispersione, aumento dei divari, diminuzione delle competenze).
La ripartenza di oggi allora non può avere solo ad oggetto il tema banchi oppure il tema strutture digitali, per carità fondamentali e ben vengano.
L’eredità più importante da cui ripartire è un’altra: è l’autonomia riportata alla luce in tutta la sua potenza creativa e intelligente dalla pandemia. Se il ministro lo avesse compreso subito, ad esempio, anziché comprare i famosi banchi con un super-mega appalto (così efficiente che i banchi finiranno di arrivare dopo quasi due mesi dalla ripresa) avrebbe dato le risorse alle scuole autonome: cosa che l’autonomia consente e che avrebbe presumibilmente sortito risultati migliori.
Facciamo ripartire l’autonomia, dunque! Dopo anni e anni di molestie burocratiche centralistiche che hanno reso impossibile farla decollare è bastato lasciare libere le scuole, e si è compreso che esse “agiscono” l’autonomia. L’autonomia scolastica, infatti, non nasce da leggi (che pure la riconoscono) ma si fonda su una comunità sociale che preesiste alle leggi stesse.
Far ripartire l’autonomia allora significa guardare alle scuole non come a corpi inerti o a strutture burocratiche cui impartire direttive e ordini, bensì vederle nel loro aspetto più profondo di “comunità che interagiscono con le altre comunità” come ben si esprimeva il Dpr 416 del 1977.
Per far meglio comprendere cosa intendo dirò in conclusione ciò che ostacolerebbe questa ripresa di autonomia.
Al commissariamento per l’acquisto dei banchi ho già fatto cenno. Ma anche l’iper-normazione per “regolare” le attività scolastiche “uccide” l’autonomia, come pure continuare ad individuare nel direttore regionale e non nei Ds gli interlocutori degli enti locali. Infine, è inutile proclamare l’autonomia nel Piano scuola 2020/21 (addirittura trasformandola a parole da autonomia funzionale in “autonomia da ente locale”) senza riconoscere gli strumenti per realizzarla.
IlSussidiario – 05.10.2020 – Annamaria Poggi