La pandemia in atto avrebbe dovuto scatenare una sinergia virtuosa in Italia e in Europa. Così accade tra gli animali in pericolo. Il nemico comune crea di solito coesione. Spesso è così anche tra gli esseri umani. Non è stato così in questa emergenza planetaria. Ognuno pensa per sé. Non si è riusciti a stilare neanche una bozza di regole comuni in Europa, e in Italia la diffusione del virus ha diviso finora più che unire.
Francia, Inghilterra e Germania, solo per parlare di Paesi dalle economie importanti hanno deciso di chiudere molto, ma non la scuola, considerata centrale per lo sviluppo, e forse anche per gli indotti economici che alla scuola sono legati. La linea di questi Paesi è stata chiara e limpida dall’inizio.
In Italia è stata ribadita ad ogni piè sospinto la centralità della Scuola, ma non si è creato un sistema per metterla nelle condizioni di tenere aperte le porte agli studenti, a cominciare dal nodo trasporti e con una Sanità ancora distante dagli obiettivi fissati in primavera, del tutto inadeguata in alcune regioni.
La Scuola è stata, in realtà, abbandonata a sé stessa. Nonostante il lavoro frenetico della stessa Ministra, degli uffici Regionali e Periferici del Ministero, dei Dirigenti, dei docenti e del personale Ata per mettere in sicurezza i locali, in riferimento ai paletti fissati dall’ISS e nonostante le tante risorse investire sulla scuola. Un lavoro duro, continuo, senza tregua cominciato dalla primavera e che ha richiesto il massimo dello sforzo in estate.
Dopo un mese di scuola si torna con le porte sbarrate, si torna a distanza, coi monitor, le connessioni instabili nelle zone disagiate, con qualche disagio psicologico in più da parte di una giovane generazione sempre più provata dalla pandemia, con una riduzione oggettiva degli apprendimenti come rivela un recente studio della Commissione europea condotto in Francia, Italia e in Germania da cui è emerso che la didattica a distanza avrebbe comportato in media una perdita di apprendimento settimanale compresa tra lo 0,82% e il 2,3%.
E proprio perché evidentemente in Francia e in Germania, in Svezia e in Danimarca la scuola gode di ben altra considerazione, le scuole rimangono aperte nonostante la pandemia. La Merkel ha motivato la sua scelta citando «l’importanza suprema dell’educazione» come diritto fondamentale. Ha fatto altrettanto il primo ministro del Regno Unito Johnson: «Non possiamo permettere che questo virus danneggi il futuro dei nostri figli più di quanto non abbia già fatto». Anche il governo francese, per citare un tweet del ministro dell’Istruzione Jean-Michel Blanquer, ha motivato la scelta sottolineando come le scuole siano al «cuore» della vita del Paese.
In Italia niente di tutto questo, la scuola non è centrale nelle scelte del Governo o meglio lo è solo negli annunci . E’ chiaro che in questa situazione era difficile tenere i cancelli delle scuole aperti ma, appunto, in questa situazione si poteva non arrivare. Si doveva non arrivare. Non si può, ad esempio pensare ai pullman stracolmi che portano i ragazzi dalla provincia a destinazione nella propria scuola o ad una sanità che non riesce a tracciare i contatti, ad effettuare i tamponi o a regolamentare le quarantene di studenti e personale scolastico per citare solo alcune delle tante criticità riscontrate.
La scuola è centrale in Italia, ma rimane solo un’intenzione non supportata da uguale interesse sul piano della concretezza delle scelte politiche, sulla scuola difficilmente si prendono posizioni. L’esplodere della pandemia avrebbe suggerito scelte probabilmente differenti e invece si è voluto affrontare la tempesta con una barca a remi.
E’ bene rivendicare che nelle scuole sono stati adottati puntualmente i Protocolli di sicurezza, tant’è che non si sono registrati focolai di contagi all’interno delle scuole. Forse il Ministro Azzolina a conferma di ciò, avrebbe dovuto snocciolare i dati elaborati dal Ministero, pretendere maggiore considerazione per il comparto che rappresenta. Probabilmente avrebbe dovuto battere maggiormente i pugni sul tavolo e pretendere la giusta attenzione per i giovani studenti che rischiano di perdere, almeno in parte, una porzione considerevole della formazione che dovrebbe essere loro garantita da un diritto costituzionale, insieme, certamente, alla loro salute.
Bisogna tirare una linea alla fine, bisogna fare un consuntivo e non stare ad attendere che il caso o il cielo risolva un problema che sta dividendo il Paese. La scuola deve aprire, si prendano i dovuti provvedimenti, si consideri l’intera catena che converge nella scuola, trasporti, sanità, presidi medici, tutto quanto necessario. Se l’Italia riparte lo deve fare cominciando dal futuro, dai suoi giovani.
Giusi Princi – Dirigente scolastico Liceo Scientifico “Da Vinci” di Reggio Calabria