Le norme ci sono, per applicarle bisogna conoscerle. Evitando di incolpare inutilmente i sindacati. Lettera in risposta all’articolo di Artini. (ARTINI, è un sindacalista anche lui, dato che è presidente dell’ANP della Toscana. La solita doppia morale! n.d.r.)
Non so se il preside Alessandro Artini ami o conosca la musica brasiliana ma quando ha scritto il suo intervento contro i sindacati della scuola ai tempi del Covid-19 deve essersi ispirato a “Samba di una nota sola” di Jobim e Mendonça. Solo che la sua nota risulta piuttosto monocorde e non briosa come la samba di Jobim.
Monocorde perché a me pare che, nello sviluppare il suo ragionamento sulla attuale situazione delle scuole in Italia, abbia suonato il tasto esclusivo di pretese responsabilità sindacali che, a suo giudizio, datano da lontano e si riverberano fino ad oggi.
Per carità, ognuno può attribuire ad altri responsabilità (lo fanno, nell’attuale emergenza, Governo e Regioni ed allora perché non potrebbe farlo un preside nei confronti dei sindacati?) ma gli argomenti usati da Artini mi appaiono decisamente incongrui rispetto all’apparato normativo vigente.
Un chiarimento necessario per i miei quattro lettori: sono un docente di Scienze giuridiche ed economiche e sono anche, in quanto Rsu della mia scuola, un dirigente sindacale. Sono doppiamente parte in causa e questo spiega perché non mi riconosco nella ricostruzione di Artini, che cercherò di confutare esclusivamente con argomenti di carattere normativo.
Artini parla di note ministeriali ed invoca leggi e norme per risolvere quello che ritiene un problema: un preteso abuso di docenti fannulloni che non vogliono eseguire correttamente le loro prestazioni lavorative, nella didattica a distanza imposta dalla pandemia, con i sindacati complici o magari artefici di questo abuso. Artini oltre che preside, lo leggo nelle note biografiche, ha un cv invidiabile e nutrito. Temo, però, che abbia, come tutti gli umani, qualche carenza di conoscenza che condiziona il suo discorso. Perché il vigente apparato normativo gli dà torto su tutta la linea.
Innanzi tutto quando immagina che una nota ministeriale a firma del capo dipartimento Marco Bruschi possa prendere il posto della legge. E anche quando immagina (altrimenti non si capisce a che pro citarla) che una nota ministeriale possa sostituire il contratto collettivo nazionale di lavoro.
Non se ne abbia a male, perciò, Artini ma vorrei rassicurarlo: è alla ricerca di un Graal che non va cercato, esiste già.
Il Graal che cerca Artini quando scrive “Quello scolastico, infatti, è un mondo terrestre, dove sono circa 40 anni che un paio di circolari ministeriali (la n. 243 del 22 settembre 1979 e la n. 192 del 3 luglio 1980) negano l’obbligo di recupero, quando le lezioni sono ridotte per cause di forza maggiore” e di seguito “Ma il ministero, nella nota 2002 del 9 novembre 2020, invece, ha affermato che ‘il personale docente è tenuto al rispetto del proprio orario di servizio, anche (…) con gli eventuali recuperi’” esiste già senza bisogno della invocazione del preside su “Sarebbe occorsa una fonte normativa vera e propria, come un regolamento o una legge”.
Il Graal che cerca è l’articolo 1256 del Codice civile (la legge invocata da Artini che è già pienamente vigente sin dal 1942): “L’obbligazione si estingue quando, per una causa non imputabile al debitore, la prestazione diventa impossibile. Se l’impossibilità è solo temporanea, il debitore, finché essa perdura, non è responsabile del ritardo nell’adempimento. Tuttavia l’obbligazione si estingue se l’impossibilità perdura fino a quando, in relazione al titolo dell’obbligazione o alla natura dell’oggetto, il debitore non può più essere ritenuto obbligato a eseguire la prestazione ovvero il creditore non ha più interesse a conseguirla”.
Non credo sia necessario precisare che una pandemia è sicuramente una causa di forza maggiore e non vorrei tediare i non esperti con il cosiddetto factum principis.
Basterebbe a chiudere il discorso ma siccome, come scrive Artini, non viviamo su Marte o sulla Luna, forse è utile ricordare che la prestazione della didattica a distanza si svolge con modalità assai particolari anche sfavorevoli al lavoratore.
Risulta ad Artini che siano state fornite dalle scuole ai docenti i mezzi tecnologici o le infrastrutture necessarie al suo svolgimento? Risulta ad Artini che tutte le scuole rispettino rigorosamente il diritto alla disconnessione? Risulta ad Artini che i docenti, suonata la campanella virtuale del collegamento a distanza si rinchiudano nelle loro torri eburnee e si isolino dal mondo scolastico? Risulta ad Artini che i docenti, a fronte delle difficoltà, scrollino le spalle e dicano alle famiglie: “Arrangiatevi?”.
Potrei continuare ma ho il senso del limite.
A scusante di Artini va scritto, però, che questa tendenza a ignorare le norme (più o meno consapevolmente) è piuttosto diffusa fra un buon numero di presidi. L’affermazione è fondata non solo sulla (sia pur limitata) esperienza personale anche come consulente ed esperto ma pure sulla vasta pubblicistica relativa alla questione.
Una eco di quanto scrivo è nella recente polemica nata dalla circostanza che in alcuni casi di chiusura delle scuole non legata al coronavirus ma ad eventi atmosferici e relativi allerta (penso a Modena con l’esondazione ma anche a Napoli è accaduto lo stesso per gli allerta meteo), alcuni presidi abbiano dato disposizione per attivare la didattica a distanza.
Potevano farlo? No, non potevano farlo. E qual è il problema? L’esistenza di una norma inserita nel cosiddetto decreto “agosto” e mantenuta nella legge di conversione che limita, testualmente, il ricorso alla Dad alla sola emergenza epidemiologica da coronavirus. Se il legislatore ha deciso così (per la “furbizia” di limitare per quest’anno scolastico, il ricorso alla Dad trasformatasi per la Azzolina, dopo il lockdown, da didattica alternativa in fonte di ogni nequizia) è una colpa sindacale pretendere il rispetto della norma?
Artini, probabilmente, penserebbe di sì ma, forse, cambiare registro potrebbe servire. Così ritorneremmo a sentire Jobim senza patemi d’animo.
Il Sussidiario – – Franco Labella