Che il nuovo ministro (o ministra) dell’Istruzione sia politico/a o tecnico/a cambia poco. Recovery fund a parte, i dossier più pesanti (e pressanti) che si troverà a esaminare sono quelli riguardanti settembre: supplenti, concorsi e classi pollaio. Un sorta di Idra a tre teste che esiste da anni e che ha reso la gestione dell’emergenza sanitaria nelle classi ancora più complicata. Anche perché, dopo un 2019/20 funestato dalla serrata imposta dal primo lockdown e un 2020/21 falcidiato dall’alternanza tra didattica in presenza e a distanza, con tutto ciò che hanno comportato in termini di perdita di apprendimenti dei ragazzi, non possiamo permetterci un terzo anno di scuola a metà. Virus o non virus.
Nuovo boom di supplenze in vista
Il primo tema lo hanno posto sul tavolo i sindacati di categoria. Se quest’anno – tra graduatorie sguarnite (soprattutto al Nord), concorsi bloccati e misure anti-contagio – siamo arrivati a 200mila supplenti (al netto dei contratti aggiuntivi-Covid che ancora nessuno è riuscito a quantificare), nel 2021/22 rischiamo di salire a 220mila. Almeno stando a un’elaborazione della Cisl Scuola che parte dalle 64mila cattedre rimaste scoperte quest’anno, aggiunge i 35mila pensionamenti all’orizzonte e fissa così a 99mila l’asticella di partenza. Che scenderebbe a 70mila se si riuscissero ad assegnare 29mila delle 32mila cattedre messe a bando con il concorso straordinario riservato ai precari con 3 anni di servizio. La selezione, partita il 22 ottobre e stoppata poco dopo a causa della pandemia, dovrebbe ripartire il 15 e concludersi il 19 febbraio. Ammettendo che ci si riesca, al computo complessivo degli incarichi temporanei bisognerebbe aggiungere comunque le 70mila supplenze che storicamente vengono assegnate fino al 30 giugno e gli 80mila posti in deroga, altrettanto storici, sul sostegno. Così da arrivare a 220mila. Un numero che scenderebbe a 215mila se andassero in porto le 5mila nuove assunzioni di prof specializzati sul sostegno previste dalla manovra 2021. Ma a quel punto cambierebbe poco. Più di un docente su 4 sarebbe a tempo. Con buona pace della continuità didattica e del recupero dei gap formativi accumulati in questi mesi. Anche perché i concorsi ordinari da 46mila posti sono fermi da oltre due anni e seppure si riuscisse a farli partire prima dell’estate comunque non si concluderebbero in tempo per le prossime immissioni in ruolo.
La lotta alle classi pollaio
A lanciare l’allarme stavolta sono stati i presidi laziali. Senza modifiche al Dpr 81/2009 (e relativi finanziamenti aggiuntivi) per ridurre le “classi pollaio” anche l’anno prossimo le prime superiori saranno formate da 27-30 alunni. Immaginando che le misure di distanziamento anti-pandemia continuino a operare, visto che la popolazione in età scolare al momento è esclusa dai piani vaccinali, anche il 2021/22 rischia di essere caratterizzato da una didattica mista in classe e da casa. Come spiega al Sole 24 Ore del Lunedì, Cristina Cottarelli, numero due dell’Anp Lazio e dirigente scolastica del liceo Newton di Roma: «Arrivati quasi alla fine di un anno Covid, in cui abbiamo affrontato il problema classi sovraffollate, è come se nulla fosse successo. Ricominceremo a settembre con il 50% in classe e il 50 a casa, o al massimo arriveremo al 70. Io – aggiunge – ho in media aule che contengono 22-23 ragazzi e formo classi da 27-30». Una situazione che non riguarda solo Roma ma altre grandi città come Milano e Napoli. Anche perchè quasi 6 ragazzi su 10 hanno scelto per il 21/22 un indirizzo liceale. Con il picco del 71,2% del Lazio. Con gli effetti che molte famiglie stanno toccando con mano in questi giorni vedendosi respinta la richiesta d’iscrizione inoltrata entro il 25 gennaio. A volte non solo dalla prima scelta ma anche dalla seconda e dalla terza. Un fenomeno che rende nei fatti l’orientamento dei ragazzi un’altra priorità che il futuro esecutivo non può ignorare.
di Eugenio Bruno e Claudio Tucci