Non è che con 20 giorni di più in classe a giugno che si recuperano mesi e mesi e di didattica a distanza. Il ministro dell’Istruzione, Patrizio Bianchi, lo ha detto chiaramente in Parlamento, cassando di fatto la proroga dell’anno scolastico 2020/21 e guardando inevitabilmente al 2021/22 per un piano in tre step che parta al termine delle lezioni e prosegua d’estate. Alle parole è seguito anche il primo atto: l’ok al decreto Sostegni che destina 150 milioni di ristori alle scuole che vareranno piano di recupero, sia sul terreno della socialità che della formazione, per i propri alunni. Ma il programma completo – che vede il coinvolgimento dei territori e del terzo settore e guarda alle aree svantaggiate, rafforzando servizi per l’infanzia e istituti tecnico-professionali, anche in chiave di lotta all’abbandono e alla povertà educativa – passa anche dai test Invalsi e dalle risorse del Recovery fund.
Il punto di partenza sono gli effetti prodotti dalla scuola a “scartamento ridotto”: i primi studi internazionali rivelano gap formativi stimati in un range dal 35 al 50% in matematica e nella propria lingua. Un aiuto a misurarli in maniera più scientifica dovrebbe arrivare dalle prove Invalsi, che hanno avuto una risposta significativa, vista anche la chiusura su larga scala delle scuole imposte dalla pandemia, dai ragazzi di quinta superiore: sono state svolte dal 60% di studenti delle classi campione, pari al 15% della popolazione di riferimento (490mila maturandi 2021). Una volta portate a termine anche negli altri gradi d’istruzione il quadro delle perdite da troppa Dad sarà più chiaro.
Per organizzare le attività di recupero, come detto, i dirigenti scolastici avranno innanzitutto i 150 milioni del decreto Sostegni (a cui si dovrebbero aggiungere almeno altri 150 milioni dei 240 ”avanzati” dal Pon Scuola 2014-2020): in media 45mila euro a scuola con cui programmare attività di potenziamento dell’offerta formativa extracurriculare, di recupero delle competenze di base, di consolidamento delle discipline, di promozione della socialità, proattività e della vita di gruppo degli studenti.
«Ci sarà un accordo quadro tra ministero, enti territoriali, comunità locali, terzo settore, per definire una cornice comune di iniziative – spiega Cristina Grieco, ex coordinatrice degli assessori a lavoro e formazione, oggi consigliera del ministro Bianchi per le tematiche legate a regioni ed enti locali -. Lasceremo scuole e territori liberi, nella propria autonomia, di declinare al meglio i singoli interventi viste le differenti situazioni. In Toscana, ad esempio, le lezioni on line hanno riguardato periodi brevi, in Campania, invece, periodi più lunghi. Ci muoveremo all’interno dei patti educativi di comunità, proprio per consentire iniziative personalizzate e più utili agli studenti. Una sorta di scuola oltre l’aula, valorizzando il ruolo della comunità educante per offrire occasioni di recupero del gap di socialità/apprendimento».
L’idea dei patti educativi non è nuova. Ci aveva già pensato Stefania Giannini per tenere le scuole aperte di pomeriggio in chiave anti-dispersione. E anche Lucia Azzolina li aveva citati nel piano scuola del luglio scorso quando si trattava di individuare spazi alternativi alle aule così da svolgere in sicurezza le lezioni in presenza. Per la verità, senza grande seguito in entrambi i casi.
Tutto ciò in attesa del Recovery. Nelle ultime bozze del Pnrr – e veniamo al terzo step – è spuntato un piano di medio termine per il recupero delle competenze perse nelle aree svantaggiate. Ad esempio, scopriamo che si punta a raggiungere un milione di studenti di medie e superiori all’anno (a partire dal 2021) per 4 anni e che si scommette su una piattaforma online nazionale. Con una terapia d’urto per le scuole maggiormente in difficoltà che possono ricevere un’unità di personale in più per due anni per i “recuperi” di italiano, matematica e inglese. Prima che sia troppo tardi.
di Eugenio Bruno, Claudio Tucci
22 marzo 2021