La poca comunicazione scuola-famiglia nel corso dell’anno scolastico e la scarsa attivazione di corsi di recupero da parte della scuola non incidono sulla legittimità del giudizio finale di non ammissione dello studente alla classe successiva. Giudizio che deve essere formulato esclusivamente sulla base della preparazione e della “maturità” raggiunte dallo studente all’esito dell’anno scolastico. Come chiarito dal Tar Campania con la recente sentenza 1571/2021, la “bocciatura” dell’alunno si basa soltanto su questi elementi di “crescita” personale, che sono propri e necessari per accedere con serenità e corretta preparazione alla successiva fase di studi; “in pari” con i compagni di scuola.
Per l’alunno “immaturo” la bocciatura è un vantaggio
Le eventuali carenze della scuola nel predisporre tutti gli strumenti idonei a consentire il recupero dell’alunno con conseguente inserimento dello stesso in livelli di preparazione pari o prossima a quella degli altri studenti, non incidono sull’autonomia di giudizio di non promozione dell’alunno alla classe successiva. A ben vedere ciò scaturisce dal fatto che l’inclusione dello studente immaturo nella classe superiore potrebbe costituire, anziché un vantaggio, un vero e proprio svantaggio per lui.
Le (ragionevoli) probabilità di risultati migliori
In ogni caso, ha evidenziato il Tar partenopeo, senza una dimostrazione oggettiva e concreta delle “potenzialità” dello studente da parte della famiglia, nessun nesso logico può ritenersi automaticamente esistente tra l’eventuale mancanza dell’attività di recupero e il risultato scolastico negativo conseguito dall’alunno. È infatti specifico onere della famiglia dello studente fornire la prova, anche in via presuntiva o probabilistica, che qualora vi fosse stata una più ampia copertura e intensificazione della didattica di miglioramento da parte della scuola, i risultati scolastici dell’allievo sarebbero stati proficui fino a permettere l’ammissione del ragazzo alla classe maggiore.
di Pietro Alessio Palumbo – 6 maggio 2021