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Quel no allo scritto di Italiano di maturandi immaturi e sgrammaticati

Petizione al ministro, firmata da 30mila maturandi, per eliminare lo scritto di Italiano alla maturità. Ma il testo è ricco di errori ortografici e imprecisioni sintattiche

Se è vero che “le parole sono pietre” (Carlo Levi), viene da pensare che “pietà l’è morta” (Nuto Revelli) anche per la lingua italiana, quella in cui “‘l sì suona” (Dante Alighieri). Suona o suonava?

A leggere il testo della petizione che, via change.it, 30mila “studenti maturandi” hanno inviato al ministro dell’Istruzione, Patrizio Bianchi, per chiedere “l’eliminazione delle prove scritte all’esame di maturità 2022”, siamo tentati di rispondere con la seconda ipotesi. A fornirci prove inconfutabili circa tale scelta è – sembra un paradosso… e infatti lo è – lo stesso testo, che così recita: “Troviamo ingiusto e infruttuoso andare a sostenere un esame scritto in quanto pleonastico”.

Punto primo: perché “andare a sostenere” (proprio del linguaggio parlato) invece del più semplice “sostenere”? Ma questo è il meno.

Proseguiamo: “… pleonastico, i professori curriculari nei cinque anni trascorsi, hanno avuto modo di toccare con mano e saggiare le nostre capacità”. Tra la proposizione che precede la prima virgola e quella ad essa successiva non c’è correlazione diretta: dunque, la virgola non ha ragion d’essere. Meglio sarebbe stato sostituirla, ad esempio, con un punto fermo. Così vale anche per la seconda virgola.

Dalle colonne di Avvenire, lo scrittore Eraldo Affinati scrive di “errori ortografici” e di “imprecisioni sintattiche e lessicali” che “rischiano di trasformare la richiesta in una specie di poetico boomerang”. Ma “più che ‘l dolor potè il digiuno” (ancora Dante), ovvero più che il dolore per la forma sgangherata poté il digiuno dei contenuti, davvero flebili.

L’aggettivo “pleonastico” significa infatti “inutile, superfluo, non necessario” (Treccani), posizione che contrasta, appunto, con l’incapacità di scrivere in italiano corretto conclamata dalla petizione. Posizione giustificata dal fatto che i professori “hanno avuto modo di toccare con mano e saggiare” (ripetizione in itinere del medesimo concetto, quindi questo sì pleonastico, ndr) le capacità dell’allievo quanto a padronanza della lingua. Visti i risultati di tali capacità, la richiesta è dunque lasciar perdere gli scritti perché tanto, più di così, non si può fare?

Il testo indica poi la necessità di evitare un “ulteriore stress” che “remerebbe contro un fruttuoso orale indispensabile come primo passo verso l’età adulta”. Dimenticano, i firmatari della petizione, che il discorso può benissimo ribaltarsi nel suo contrario: tanti sono i ragazzi che preferiscono, infatti, esporre per iscritto i propri pensieri invece che oralmente. E per quale motivo “un fruttuoso orale” sarebbe dunque “indispensabile” al posto dello scritto? Di più: a 19-20 anni, quanti ne hanno di norma gli studenti che affrontano l’esame, cioè un paio di anni dopo aver usufruito del diritto al voto (massima espressione di democrazia: eliminiamo anche quella?), come si può scrivere di “primo passo verso l’età adulta?”.

Lo stesso istituto ha preso di recente posizione a proposito del fatto che il ministero dell’Istruzione ha escluso l’italiano – in favore, occorre dirlo? dell’inglese – nel bando del Fis (accidenti a questa vera e propria pandemia da acronimi che ha infettato il nostro sistema scolastico), Fondo italiano per la scienza (cifra ragguardevole: 150 milioni di euro). Decisione che l’accademico, scrittore e giornalista (è inviato del Corriere) Paolo Di Stefano chiosa così: “Succederà che i candidati italiani illustreranno in inglese a commissari italiani la prosa di Boccaccio o la poesia di Montale”.

“È un fallimento educativo che priva l’Italia di ogni futuro”, ammetteva pochi giorni fa Paolo Crepet da queste colonne a proposito dell’illegalità che coinvolge minori sempre più piccoli. Non sarà che illegalità e diseducazione siano da mettere in rapporto anche con la scarsa conoscenza della lingua? Pensiamoci e rispondiamo, oralmente e in inglese…

 – Riccardo Prando

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