L’introduzione e la sperimentazione delle soft skills apre potenzialmente a molti cambiamenti nella scuola italiana e nella sua valutazione.
L’esperienza pandemica e la Dad hanno drasticamente messo in evidenza quanto sia fondamentale il contatto umano nel percorso educativo, quanto l’educazione sia un “incontro di personalità”. Quanto l’interazione con il gruppo sia determinante per i ragazzi nella costruzione della propria identità. Quanto occorra avere dei maestri che siano a fianco degli studenti, non di fronte o dietro uno schermo.
Quanto al centro del progetto formativo di una scuola occorra mettere la persona del discente, perché la sua capacità di apprendimento dipende non solo dalla qualità dei saperi trasmessi, ma anche dalle caratteristiche specifiche di ognuno.
La proposta di legge sulle “competenze non cognitive”, approvata dalla Camera l’11 gennaio, va in questa direzione. Non vuole “snaturare” la scuola o addestrare il carattere degli allievi per omologarli ad uno standard umano prefissato da una “nuova ideologia educativa”, ma mettere al centro la persona, che diventa competente quando mobilita le sue risorse, arriva ad una scelta, ad una decisione, quando si mette in azione. È il riconoscimento del “valore assoluto” della persona del discente.
Preme sottolineare che nell’ultimo mezzo secolo l’azione educativa della scuola è stata spesso ridotta a training, a far acquisire al discente competenze profittevoli, immediatamente spendibili o, a lungo termine, economicamente produttive. Tuttavia, le trasformazioni avvenute nel mondo della produzione hanno sempre più indicato alla scuola che l’impresa ha oggi la necessità di mettere in campo una più oculata attenzione verso la formazione del “capitale umano”, la cui qualità è determinata dalle non cognitive skills.
Oggi, infatti, il mondo delle imprese ha bisogno di persone con nuove hard e soft skills, che siano capaci di coniugare know how tecnologico e tecnico specifico insieme a un’adeguata capacità di lettura della complessità in cui siamo immersi, alla capacità di lavorare insieme, in modo flessibile, creativo, per obiettivi produttivi e di sviluppo, attenendosi alle regole in modo coscienzioso, pianificando e classificando per ordine di importanza i compiti attribuiti. Come vari studi hanno avuto modo di dimostrare, le non cognitive skills, risorse di tipo psico-sociale, tratti di personalità, diventano determinanti per il 75-85% per una positiva e costruttiva esperienza lavorativa, mentre le competenze tecniche si attestano al 15-25%.
Se poi si considera che oltre la metà dei ragazzi frequentanti oggi la scuola svolgerà un mestiere che non è stato ancora inventato o che è solo a largo spettro definibile, è evidente che occorrerà fin da subito dar forma ad un’azione didattica che sviluppi quelle risorse psico-sociali, quelle abilità e quegli atteggiamenti che sono alla base di un approccio efficace con la realtà, nei suoi aspetti conoscitivi e relazionali, oltre ad essere tratti educabili e potenziabili, soprattutto durante l’esperienza scolastica dei ragazzi.
Rilevante è, nella legge approvata dalla Camera, l’entità dei fondi previsti per la formazione dei docenti, in entrata e in servizio, e per la sperimentazione, aperta a scuole di ogni ordine e grado del sistema scolastico nazionale, comprese le paritarie: basterà presentare una propria proposta progettuale alla Commissione ministeriale istituenda per accedere al finanziamento.
È una legge che valorizza metodologie didattiche attive e innovative, avviate già da molti docenti e da molte scuole, e che si inserisce, seppur con le debite differenze, nell’ottica tracciata dall’alternanza scuola-lavoro, ora Pcto.
Certamente occorrerà rivedere l’impostazione didattica della valutazione e del sistema nazionale di valutazione, in quanto le non cognitive skills non solo sono identificabili, educabili, ma anche misurabili, come altri hanno già avuto modo di rilevare. Quello che ci preme puntualizzare è che, se il profilo individuale di una persona è determinato dai suoi aspetti cognitivi e non cognitivi, è giusto che nel profilo in uscita di un ragazzo dalla scuola si dia risalto anche alle sue character skills. Una “valutazione olistica”, secondo Luisa Ribolzi, “che guarda alla persona globale dello studente e non solo a un suo prodotto”.
Parimenti corretto sarebbe, inoltre, che il sistema di valutazione e comparazione delle scuole italiane applicasse questo parametro di giudizio, da cui si evincerebbero la ricchezza e la contestualizzazione dell’offerta formativa di ogni singola istituzione scolastica. Si introdurrebbe così un vero tratto di competitività tra scuole, con un conseguente stimolo al miglioramento e all’eccellenza. Potrebbe essere un passo verso il decentramento del sistema scolastico nazionale?
21.02.2022 – Letizia Stefani – IL SUSSIDIARIO. net