Si avvicina il concorso per dirigenti scolastici. Per prepararsi a questo ruolo delicato e complesso bisogna essere attenti a tre dimensioni importanti
È ormai imminente l’avvio della nuova procedura di concorso per dirigenti scolastici dopo che il Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione il 3 febbraio 2022 ha espresso il proprio parere in merito al regolamento.
Il reclutamento sarà su base regionale, non nazionale come quello bandito nel 2017. La procedura concorsuale dovrà iniziare entro l’anno e sono già iniziate le attività di formazione per chi intende affrontare le prove scritte e orali che, selezionando via via i candidati, porteranno a formulare una graduatoria per le assunzioni previste per l’inizio dell’anno scolastico 2023-24.
Ovviamente per prepararsi al concorso il primo passo è leggere attentamente le indicazioni degli argomenti previsti per le prove. Ma, nell’esaminare i diversi argomenti, ci si potrebbe chiedere: quale approccio deve avere il dirigente scolastico per affrontare la professione? E quali sono gli aspetti da privilegiare a questo scopo, sia sul piano culturale, sia sul piano della propria formazione?
Se ci basiamo sulla nostra esperienza di studenti, genitori, docenti, noi potremo ricordare diversi esempi di preside o dirigente scolastico, spesso anche molto diversi tra loro: se non possiamo negare che alcuni di loro erano inadeguati, molti tra loro risultavano efficaci nell’azione ed erano stimati nelle loro scuole pur essendo differenti i loro comportamenti e le loro prospettive.
È evidente che ciò dipende dalla complessità della professione del dirigente scolastico e dalla molteplicità di punti di vista che egli deve mantenere nel condurre il mondo variegato e la fitta rete di relazioni che compongono il tessuto vivo della scuola. Ogni dirigente deve tracciare un proprio percorso per interpretare la professione. Il metodo di lavoro può essere appreso e formalizzato, deve avere linee razionali strettamente legate alla realtà della professione, ma alla fin fine non può che essere personale, se vuol divenire uno stile di dirigenza per affrontare le problematiche quotidiane e condurre la scuola verso obiettivi ben definiti nella visione globale del Ds.
Si potrebbe dire che il metodo professionale si sviluppa innanzitutto su due assi cartesiani. Il primo è lo studio delle normative, individuando in particolare quelle fondamentali, come il Testo unico della scuola, il Regolamento sull’autonomia 275 del 1999, il decreto 165 del 2001, la legge cosiddetta della Buona Scuola del 2015, che pongono le basi di molte delle azioni e dei compiti dirigenziali e dei molteplici altri provvedimenti che Parlamento, Governo e Ministero continuano a emanare. Delle norme un dirigente pubblico quale è il Ds deve avere non tanto una conoscenza mnemonica o nozionistica, quanto una padronanza della loro logica interna e dello spirito che sottende alla legislazione scolastica, anche, talvolta, in possibili apparenti contraddizioni.
Va aggiunto che un Ds oggi deve aver ben presente ampie aree normative, a partire dal decreto 81/2008 sulla sicurezza, dal Regolamento europeo 2016/679 sulla privacy con i decreti italiani che lo hanno recepito e le norme sulla trasparenza e anticorruzione, che prevedono obblighi in capo al datore di lavoro (cioè al Ds) con sanzioni anche molto rilevanti.
Il secondo asse è quello gestionale e organizzativo: è un aspetto fondamentale che assorbe molte energie e rischia di essere poi l’occupazione principale, se non unica, del Ds. La gestione del personale con tutta la complessa normativa e regolazione amministrativa e contrattuale ad essa legata, la programmazione e gestione finanziaria delle istituzioni scolastiche con il suo stretto collegamento al Piano dell’offerta formativa e il decreto interministeriale che governa il bilancio della scuola, l’indirizzo alla governance della scuola, il rapporto con le esigenze formative del territorio, in buona sostanza le competenze manageriali per strutturare processi e attività in modo sistematico.
Da questo punto di vista ci possono essere valide proposte formative, anche universitarie e associative che aiutano il Ds a maturare una cultura e una riflessione su questi temi. Una cultura e una riflessione che devono continuamente individuare i cambiamenti e reperire le vie e i mezzi per farvi fronte. A titolo di esempio, faccio presente che se intorno al 2011-12 la fatica più rilevante sembrava quella di ricercare e trovare le risorse economiche e far fronte alle problematiche che scaturivano dalla penuria di finanziamenti, negli ultimi anni i mezzi economici sono più facilmente a disposizione e sembrano invece scarseggiare le risorse umane, ovvero figure professionali qualificate, sia nella docenza di alcune discipline, sia in altri settori della struttura scolastica.
Ma i due assi appena descritti renderebbero ancora l’idea di un’istituzione piatta, bidimensionale, magari ben strutturata, ma povera della vita e degli avvenimenti che sono il cuore della scuola stessa. La profondità, la terza dimensione della formazione e della cultura di un dirigente scolastico, è quella che concerne lo scopo stesso della scuola: l’educazione e l’istruzione con tutto quello che coinvolge la sfera della conoscenza, dell’attività didattica e dei processi relazionali con i docenti e, in massima parte tramite essi, con gli studenti e le famiglie.
Questa dimensione ha la necessità di un solido approccio culturale. Anni fa la preparazione richiesta a un preside e, ancor di più, a un direttore delle scuole elementari era fortemente legata al piano pedagogico: oggi questo non è esplicitamente richiesto, ma ampie tematiche come l’innovazione didattica, l’implementazione degli strumenti tecnologici e multimediali nella prassi dell’insegnamento, l’inclusione e i bisogni educativi speciali, nonché la personalizzazione didattica con la valorizzazione dei talenti e il miglioramento degli apprendimenti, se non sono letti in un’ottica ampia e realistica basata sulla mission educativa propria della scuola, rischiano di scadere in una sorta di tecno-burocrazia, alimentata da molteplici fonti normative (come, a puro titolo di esempio, le linee guida ai Bisogni educativi speciali): norme che, invece, vanno lette utilizzandole come risorse, con la propria consapevolezza di riferimenti educativi e inserite nel contesto vivo della realtà scolastica.
Inoltre una tale impostazione si sviluppa soprattutto sull’ascoltare, prima che sul parlare, sul guardare ciò che accade e valorizzare, promuovere e incentivare le proposte e i percorsi che affiorano all’interno della vita scolastica: su questi aspetti ci si prepara anche leggendo validi testi, ma la prima necessità è imparare dalle esperienze di altri colleghi, più o meno esperti. Per questo un’amicizia professionale di Ds è una fonte preziosa di suggerimenti e indirizzi: non sostituisce, ma esalta il proprio approccio, che non può che essere personale.
E, oggi come ieri, il Ds, benché abbia un carico di lavoro e di impegni notevole, non può e non deve rinunciare a letture e occasioni culturali in cui approfondire i suoi interessi e la sua crescita personale e che possono divenire spunto di novità e di originali innesti; è vero anche per lui l’adagio così importante: “non si educa se non si è educati”.
Sullo sfondo di queste tre dimensioni si sviluppa la formazione “solida” di un dirigente scolastico che non accetta di appiattirsi all’ufficio di segreteria, ma non si illude di poter svolgere il suo compito nella nostalgica ricerca del ruolo di super-professore o di docente dei docenti.
A fronte della complessità che lo studio per il concorso dirigenti propone e che la professione del Ds richiede non ci sono ricette o istruzioni per l’uso che possano circoscrivere il campo d’azione. I “modelli”, o gli esempi, se preferiamo questo termine, sono una strada per tracciare, nella varietà delle possibili scelte di agire, la nostra via di azione e di interpretazione del mestiere di dirigere.
26.04.2022 – Mario Predieri – Il Sussidiario