Il nuovo schema di formazione iniziale docenti presenta “sviste” significative che riguardano le paritarie, il regime transitorio e il reclutamento
Dopo il susseguirsi di varie riforme ed interventi normativi in materia, è molto difficile ai non specialisti comprendere quale sia il percorso che un giovane debba intraprendere per diventare insegnante.
Lo scorso 30 aprile, il decreto legge n. 36 “Ulteriori misure urgenti per l’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza”, che dovrà essere convertito in legge entro il mese di giugno, cerca di mettere ordine al complesso normativo delineando al Capo VIII la nuova formazione iniziale e continua degli insegnanti delle scuole secondarie.
La nuova proposta prevede che sia un percorso universitario e accademico specifico, a rilasciare un titolo abilitante, da conseguirsi con l’acquisizione di 60 crediti formativi universitari o accademici di cui una parte di tirocinio diretto presso le scuole del sistema nazionale di istruzione e con una prova finale comprendente una prova scritta ed una lezione simulata.
Il provvedimento prevede, altresì, un periodo transitorio, preliminare all’attuazione a pieno regime, che consentirà a quanti possono vantare 3 anni di servizio nelle scuole statali un percorso abbreviato per conseguire abilitazione e ruolo.
Le associazioni di gestori e genitori di scuole paritarie cattoliche e d’ispirazione cristiana, facenti parte di Agorà della parità (Agesc, Cdo Opere educative – Foe, Ciofs Scuola, Cnos Scuola, Faes, Fidae, Fism, Fondazione gesuiti educazione), a seguito della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del Dl 36/2022 avevano diffuso un Comunicato stampa nel quale esprimevano apprezzamento per l’impianto generale della normativa, soprattutto in relazione alla netta separazione fra abilitazione all’insegnamento e reclutamento, tramite concorso, per il ruolo nelle scuole statali e valutando altresì positivamente l’acquisizione del titolo abilitante durante il percorso universitario, da attuarsi in collaborazione fra università e mondo della scuola.
Negli ultimi anni, infatti, la commistione fra i due momenti ha significato per i docenti delle scuole paritarie secondarie, dover partecipare ad un concorso finalizzato all’acquisizione di un posto di ruolo nella scuola statale per conseguire il titolo abilitante, necessario per poter lavorare anche nelle scuole paritarie, ai sensi della legge 62/2000.
Il vero nodo che però la riforma non affronta è la previsione, nel regime transitorio che durerà sino al 31 dicembre 2024, di una modalità per ottenere la sola abilitazione.
È previsto infatti, che fino al 2024, solo per i docenti con tre anni di servizio nella scuola statale venga valorizzato il servizio rendendo necessaria, ai fini della prova abilitante, l’acquisizione di soli 30 crediti a condizione che parte di essi siano di tirocinio diretto.
Quindi, per i docenti che da più di otto anni insegnano nelle scuole paritarie senza il titolo abilitante, nessuna procedura per ottenere da subito il titolo che permetterebbe loro di insegnare regolarmente nelle scuole che hanno scelto e nelle quali vorrebbero poter rimanere, vedendo riconosciuto l’eguale servizio?
La situazione è irrisolta da anni: dopo Tfa e Pas finalmente il ministero, con il decreto dipartimentale 497/2020, aveva avviato, nel luglio 2020, una procedura abilitante alla quale ci risulta siano iscritti circa 15mila docenti in servizio nelle scuole paritarie, ma purtroppo è rimasta incompiuta e ancora oggi si è in attesa della pubblicazione del relativo bando.
Alla luce di tale anomalia, le associazioni facenti parte di Agorà della parità insieme ad Aninsei Confindustria (Associazione nazionale istituti non statali di educazione e di istruzione) hanno depositato, dopo un intervento davanti alla prima e settima Commissione del Senato, una nota in cui chiedono che il cosiddetto regime transitorio preveda la possibilità dell’ottenimento della sola abilitazione all’insegnamento, senza alcun diritto relativamente al reclutamento nei ruoli della scuola statale, per tutti i docenti del sistema nazionale d’istruzione (quindi anche delle paritarie), che abbiamo tre anni di servizio anche non consecutivi nelle scuole del sistema nazionale di istruzione nei cinque anni precedenti l’entrata in vigore della norma in discussione, acquisendo i 30 crediti formativi universitari o accademici già previsti per i soli docenti della scuola statale e superando la prova finale prevista dal testo attuale, senza che tale titolo abilitante dia diritto relativamente al reclutamento nei ruoli della scuola statale.
La nota aggiunge inoltre alcune considerazioni che le associazioni firmatarie ritengono particolarmente rilevanti.
Anzitutto, si chiede che venga precisato con chiarezza che la parte di crediti formativi universitari o accademici di tirocinio diretto possano essere acquisiti presso le scuole del sistema nazionale di istruzione, quindi anche presso le scuole paritarie, come già avviene nei corsi di laurea di formazione primaria.
In secondo luogo, le associazioni ritengono che il decreto che dovrà definire i contenuti e la strutturazione dell’offerta formativa corrispondente ai 60 crediti formativi universitari valorizzi i 24 Cfu, nelle discipline antropo-psico-pedagogiche e in metodologie e tecnologie didattiche, prescritti dalle precedenti normative (D.Lgs. 59/2017 attuativo della legge 107/2015 cosiddetta Buona Scuola) e fino ad ora richiesti ai fini dell’accesso al concorso per le scuole secondarie.
In terza battuta, per rendere il sistema più fluido dovranno essere riviste e semplificate le classi di concorso e i titoli di accesso alle medesime.
Inoltre, last but not least, resta da chiarire come si quantificherà il fabbisogno di insegnanti del sistema nazionale di istruzione per tipologia di posto e per classe di concorso che il ministero dell’Istruzione dovrà comunicare annualmente al ministero dell’Università “affinché il sistema di formazione iniziale degli insegnanti generi, in maniera tendenzialmente omogenea tra le varie regioni, un numero di abilitati (…) senza che, in generale o su specifiche classi di concorso, si determini una consistenza numerica di abilitati tale che il sistema nazionale di istruzione non sia in grado di assorbire”.
A tal proposito si auspica una collaborazione con le associazioni dei gestori di Scuole paritarie perché anche il fabbisogno delle scuole paritarie possa essere correttamente individuato e adeguatamente indicato, anche se si fatica a comprendere il motivo per cui un titolo debba essere strettamente correlato alla certezza del posto di lavoro; una sana competizione permetterebbe di reclutare i migliori.
Pubblicazione: 22.05.2022 – IL SUSSIDIARIO – Francesco Marinozzi