Scuola: il ’68 ha fatto fuori la tradizione, ma l’erede ancora non c’è.
È da almeno mezzo secolo ormai che il dibattito sulla scuola periodicamente ritorna al centro dell’attenzione pubblica.
Il Sessantotto e i suoi strascichi infatti hanno fatto fuori il modello scolastico erede della tradizione ottocentesca; ma l’erede ancora, dopo decenni di tentativi ed errori, non si vede all’orizzonte, mentre la disputa rimane perlopiù polarizzata fra i nostalgici del buon tempo antico, che fanno il tifo per un ritorno a severità e apprendimenti solidi, e alfieri dell’inclusione, paladini di una scuola dell’aggregazione e della socializzazione, anche per sopperire alle carenze o alla scomparsa di altre agenzie formative, dalla famiglia alle associazioni e via elencando.
Per rimanere al più recente dibattito italiano, come non ricordare le polemiche suscitate dal libro a doppia firma di Paola Mastrocola e Luca Ricolfi, Il danno scolastico o il recente lavoro di Andrea Gavosto, La scuola bloccata; ma la riflessione riguarda anche aspetti specifici, come il ruolo delle tecnologie – interessante lo studio di Tommaso Agasisti e Nicoletta Di Blas, Innovare le scuole con la tecnologia – o i nuovi orizzonti rappresentati dalle non cognitive skills – vedi ad esempio Viaggio nelle character skills, curato da Giorgio Chiosso, Anna Maria Poggio e Giorgio Vittadini. Si tratta solo di esempi recenti, che bastano tuttavia a segnalare l’ampiezza e la complessità del problema.
Perché le sfide che la realtà pone sono reali, complesse e urgenti: quali sono le conoscenze e le competenze richieste da una società e da un sistema economico e produttivo in rapido e imprevedibile cambiamento? Quale l’impatto della diffusione delle nuove tecnologie sulle modalità di conoscenza dei ragazzi? Quali la responsabilità e le possibilità del sistema scolastico per riprendere a essere un “ascensore sociale”, per favorire il rilancio di una democrazia non soltanto formale ma sostanziale, per governare le ricadute dei processi migratori sul piano dell’integrazione culturale e sociale?
Sono sfide complesse, è evidente; ma, appunto, reali e urgenti: la scuola non può aspettare che qualche studioso o qualche politico prima o poi le risolva a tavolino. Perché ogni mattina gli insegnanti, i dirigenti, gli educatori si trovano a fare i conti con le attese dei giovani che quotidianamente chiedono risposte alle proprie esigenze e domande, chiedono di costruire propri percorsi, hanno bisogno di scoprire la propria personalità per affrontare con fiducia il proprio futuro.
E ogni mattina un’evidenza si impone: i bambini e i ragazzi chiedono non tanto “la presenza” (sì, anche), ma soprattutto “presenze”: la possibilità di incontrare adulti veri, impegnati con la loro umanità, che propongano un percorso di crescita insieme umana e culturale; e questo è vero sempre, anche quando la loro domanda è inespressa, nascosta sotto il disinteresse, l’apatia e mille fragilità.
Certo, in una situazione tanto complessa è evidente che occorre individuare prospettive adeguate, nuove, che tengano conto insieme dell’eredità del passato e dei contesti nuovi, che chiedono di innovare metodologie, strategie, prospettive. Non nuovi “modelli” da applicare, ma evidenze di verità e di bellezza che possono essere una possibilità di novità per tutti e che possono ispirare e scelte e progetti; perché la novità prima ancora che delle scuole è nelle scuole, ed è rappresentata dai protagonisti: l’insegnante, il dirigente, gli educatori. È necessario dunque guardare a esperienze in atto, individuare segni di novità, nella scuola e in tutti gli ambiti educativi, perché anche in una situazione così difficile gli esempi di autenticità educativa e didattica non mancano.
Se ne parlerà domenica 21 agosto in uno degli incontri che come ogni anno il Meeting riserva ai temi dell’educazione, della formazione, della scuola, dal titolo “Educazione ed innovazione scolastica. Canoni formativi per tempi complessi”. Si confronteranno alcuni protagonisti, ciascuno impegnato su un versante specifico: un preside, un docente e un educatore, ma tutti accomunati da questa “passione per l’uomo” che non è solo un’ispirazione, ma vuol dire raccogliere le sfide e mettersi in gioco, fino a definire progetti, costruire opere, ripensare il proprio lavoro.
Carlo Di Michele – 21 agosto 2022 – Il Sussidiario