Età, anni di contributi, ma anche quote ed uscite ad hoc per le donne o i lavoratori in difficoltà. In attesa della riforma complessiva della previdenza che il governo si è impegnato a presentare entro i prossimi mesi, ecco una guida su chi, come e con quali assegni potrà andare in pensione l’anno prossimo.
Pensioni di vecchiaia
Resta, ovviamente, la strada principale per lasciare il lavoro. Anche se per imboccarla bisogna attendere qualche anno in più. In particolare, potrà andare in pensione chi raggiunge nel 2023 i 67 anni di età con almeno 20 di contributi. Per alcune categorie particolarmente rischiosa la soglia è di 66 e 7 mesi ma con almeno 30 anni di versamenti. Con 5 anni di contributi l’età minima è di 71 anni. Mentre per la pensioni anticipata contributiva sono richiesti 64 anni di età e almeno 20 di contributi. Ma con una condizione: l’assegno deve essere superiore a 2,8 quello sociale.
Quota 103
E’ la principale novità che scatta da gennaio. Si potrà andare in pensione a 62 anni ma con almeno 41 anni di contributi. Tuttavia, chi aderisce a questa opzione, la pensione liquidata non potrà superare di 5 volte il trattamento minimo, quindi poco meno di 2.700 euro. Semmai dovesse essere più alta, l’importo restante verrà liquidato solo una volta raggiunti i requisiti per la pensione anticipata o di vecchiaia. Fino al compimento dei 67 anni, inoltre, vi è il divieto di cumulare i redditi da pensione con quelli provenienti da attività lavorativa, con l’eccezione dell’attività di lavoro occasionale entro il limite dei 5.000 euro l’anno.
Potrà accedere alla pensione chi matura entro il 31 dicembre la cosiddetta quota 102, vale a dire 64 anni di età e 38 di contributi.
Quota 41
Resta l’obiettivo finale della riforma quello di consentire di lasciare il lavoro indipendentemente dall’età con 41 anni di contributi. Ora, questa opzione, è riservata ai soli lavoratori precoci – chi prima del compimento dei 19 anni ha maturato almeno 12 mesi di contributi – che fanno parte di una delle categorie dei cosiddetti fragili.
Pensione anticipata
Indipendentemente dall’età, invece, si può accedere alla pensione anticipata al raggiungimento di 42 anni e 10 mesi di contributi, un anno in meno per le donne.
Ape Sociale
E’ stata prorogata per il 2023 l’opzione che consente ai lavoratori fragili (categoria di cui fanno parte i disoccupati, gli invalidi, i caregiver e i lavoratori addetti a mansioni usuranti) di andare in pensione a 63 anni, a fronte di almeno 30 anni di contributi (36 anni nel caso degli usuranti). In realtà, più che un vero e proprio trattamento previdenziale è una sorta di indennità sostitutiva della pensione, la quale viene però finanziata direttamente dallo Stato. Per chi decide di aderire al cosiddetto anticipo pensionistico, quindi, non ci sono penalizzazioni sull’assegno.
Opzione donna
Il provvedimento ha avuto una vita molto contrastata fino all’attuale versione che prevede la possibilità di lasciare il lavoro a 60 anni solo per tre categorie di donne: caregiver, cioè che assistono coniuge o parente con handicap; con invalidità civile superiore o uguale al 74%; licenziate o dipendenti di imprese con aperto un tavolo di crisi. La soglia di età di 60 anni viene legata al numero dei figli: può essere ridotta di un anno per ogni figlio, fino al massimo di due (solo per le licenziate o dipendenti da aziende in crisi la riduzione a 58 anni è a prescindere dai figli). Un doppio paletto che limita in questo modo la platea da 17 mila a 3 mila uscite nel 2023 per una spesa di 20,8 milioni (contro i 110 dell’attuale versione). Ma non è escluso che il governo possa tornare sui suoi passi e rivedere i paletti di opzione donna presentando emendamenti ad hoc durante l’esame della manovra in Parlamento.
Quotidiano.net – 5 dicembre 2022