Negli ultimi cinque anni gli alunni sono calati di oltre 400mila unità. Dispersione record al 12,7%, mentre chi non studia e non lavora è a quota 23,1%: primato europeo.
Nell’Italia impaurita e malinconica fotografata dal Rapporto del Censis, la scuola è tra le agenzie che più stanno soffrendo soprattutto a causa degli alti tassi di abbandono e dell’inverno demografico che svuota le aule.
Soltanto negli ultimi cinque anni, gli alunni sono calati di oltre 400mila unità (403.356 per l’esattezza), passando da 8,6 a 8,2 milioni. Per il momento, la dinamica demografica negativa si riflette soprattutto sulle scuole dell’infanzia (-11,5% di iscritti nel quinquennio) e sulla primaria (-8,3%). Immatricolazioni in calo anche nelle università: nell’anno accademico 2021-2022 si è assistito a una contrazione delle iscrizioni del 2,8% rispetto all’anno precedente. In termini assoluti si tratta di 9.400 studenti in meno circa.
«Aule desertificate dallo tsunami demografico»
«In base alle previsioni demografiche – si legge nel Rapporto del Censis – si prefigurano aule scolastiche desertificate e un bacino universitario depauperato». Nel medio-lungo termine, le previsioni sono tutt’altro che favorevoli. Già tra una decina d’anni, infatti, la popolazione tra i 3 e i 18 anni scenderà dagli attuali 8,5 milioni a 7,1 milioni e tra vent’anni, nel 2042, potrebbe ridursi a 6,8 milioni, con una perdita secca di 1,7 milioni di individui rispetto ad oggi. Un vero e proprio «tsunami demografico» per i ricercatori sociali del Censis, secondo cui nel 2032 la popolazione tra i 6 e i 13 anni (primaria e secondaria di primo grado), calerà di quasi 900mila persone. Nel decennio successivo, l’inverno demografico aggredirà pesantemente anche la scuola secondaria di secondo grado, con un taglio secco di 726mila ragazzi tra i 14 e i 18 anni al 2042. Ancora più pesante sarà, tra vent’anni, il bilancio demografico per la fascia d’età compresa tra i 19 e i 24 anni: -760mila persone rispetto ad oggi. «A parità di propensione agli studi universitari – avverte il Censis – si conterebbero 390mila iscritti e 78mila immatricolati in meno rispetto ad oggi».
Valditara: «I plessi non caleranno»
Nonostante il calo delle nascite, il ministro dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara, rassicura le famiglie: a fronte di un taglio di 700 scuole in quanto “istituti giuridici”, i plessi rimarranno invariati. «Sono 40.466 e rimarranno 40.466 – ha sottolineato Valditara –. Gli studenti continueranno ad andare negli stessi luoghi fisici con gli stessi laboratori, le stesse aule, le stesse strutture».
La dispersione avanza…
La scuola italiana, però, non è alle prese soltanto con il calo delle iscrizioni provocato dalle nascite sempre più scarse, ma anche con un ancor elevato tasso di dispersione. I giovani 18-24enni usciti precocemente dal sistema di istruzione e formazione, si legge nel Rapporto, sono il 12,7% a livello nazionale e il 16,6% nelle regioni del Sud, contro una media europea di dispersione scolastica che si ferma al 9,7%. E ancora. Mediamente nei Paesi dell’Unione europea la quota di 25-34enni con il diploma è pari all’85,2%, in Italia al 76,8% e scende al 71,2% nel Mezzogiorno. È inferiore alla media europea anche la percentuale di 30-34enni laureati o in possesso di un titolo di studio terziario: il 26,8% in Italia e il 20,7% al Sud, contro una media Ue del 41,6%.
… e anche i Neet
«Il nostro Paese – ricorda il Censis – detiene anche il primato europeo per il numero di Neet, i giovani che non studiano e non lavorano: il 23,1% dei 15-29enni a fronte di una media Ue del 13,1%. Ma nelle regioni del Mezzogiorno l’incidenza sale al 32,2%».
Non va meglio nemmeno sul versante dell’integrazione degli alunni di nazionalità non italiana, che nell’anno scolastico 2021-2022 erano 872.360 (+0,8% rispetto all’anno precedente). Secondo un’indagine effettuata su più di 1.400 dirigenti scolastici, nelle scuole a elevata presenza di stranieri (oltre il 15%) solo il 19,5% dei presidi ritiene il livello di integrazione del tutto soddisfacente e solo per il 35,5% negli ultimi tre anni non si è verificata alcuna criticità.
Manca la «coesione sociale»
Questi fenomeni sono strettamente legati alla scarsa «coesione sociale» osservata nei territori. Quella italiana è una società «senza», come l’hanno ribattezzata i ricercatori del Censis. In questo caso, una società senza coesione sociale con una scuola e un’università senza studenti. Al fondamento di questo andamento negativo c’è la «mappa delle nuove fragilità sociali» che, al primo posto, vedono le famiglie che vivono in condizione di povertà assoluta: sono più di 1,9 milioni (il 7,5% del totale), cioè 5,6 milioni di persone (il 9,4% della popolazione: 1 milione di persone in più rispetto al 2019). Di queste, il 44,1% risiede nel Mezzogiorno. Si tratta, spiega il Censis, di individui impossibilitati ad acquistare un paniere di bene e servizi giudicati essenziali per uno standard di vita accettabile. Tra questi rientra, senz’altro, anche garantire un percorso scolastico lineare ai figli.
Avvenire: Articolo di Paolo Ferrario di sabato 3 dicembre 2022.