La manovra sulle pensioni, per il 2025 introduce una serie di cambiamenti significativi. Non si tratta di una riforma strutturale ma vengono comunque garantiti strumenti di flessibilità in uscita per i lavoratori. Tra le misure più importanti troviamo il “Bonus Maroni”, la proroga di Quota 103, un ritocco delle pensioni minime.
Aumento delle pensioni minime
Nel 2025, le pensioni minime avranno un aumento del 2,2%, raggiungendo una cifra mensile di 617,9 euro, circa 3 euro in più rispetto all’attuale importo di 614,77 euro.
Questo intervento punta quindi a garantire un parziale adeguamento all’inflazione e a evitare la perdita di potere d’acquisto dei pensionati con assegni minimi.
Rivalutazione pensioni in generale (perequazione)
Per quanto riguarda il sistema di adeguamento all’inflazione, il meccanismo di indicizzazione subirà delle modifiche.
Dal 2025, si tornerà al sistema previsto dalla legge 388/2000, con tre livelli (e non più sei) di adeguamento all’inflazione e quindi una perequazione “più generosa”:
- 100% per le pensioni fino a quattro volte il minimo, (indicizzazione piena)
- 90% per quelle tra quattro e cinque volte il minimo,
- 75% per le pensioni superiori a cinque volte il minimo.
Non è però prevista alcuna rivalutazione per le pensioni dei residenti all’estero se superiori al minimo.
Proroga di Quota 103 e altre forme di flessibilità in uscita
La manovra proroga la cosiddetta Quota 103, confermando, per chi raggiungerà i requisiti nel 2025, sia il ricalcolo contributivo dell’assegno, sia il limite massimo dell’importo pari a 4 volte il trattamento minimo, permettendo di ritirarsi anticipatamente dal mercato del lavoro, ai lavoratoricon almeno:
- 62 anni di età e
- 41 anni di contributi raggiungibili anche attraverso il cumulo ovvero sommando tutti i versamenti accreditati presso le differenti gestioni previdenziali amministrate dall’Inps.
La decorrenza della pensione è posticipata, a causa delle finestre mobili di attesa, che, per chi maturerà i requisiti entro il 31 dicembre 2025, saranno pari, come per il 2024, a:
- 7 mesi per i lavoratori del settore privato;
- 9 mesi per i dipendenti della PA.
Anche per il 2025, varrà il divieto di sommare la pensione Quota 103 con i redditi da lavoro, tranne nel caso di compensi derivanti da lavoro autonomo occasionale (art. 2222 Codice Civile) con un tetto di 5.000 euro lordi all’anno.
Inoltre, vengono confermate le misure dell’Ape Sociale e dell’Opzione Donna, che garantiscono ulteriori possibilità di uscita anticipata per particolari categorie di lavoratori, come quelli impegnati in attività usuranti o le donne con condizioni familiari specifiche:
- Ape Sociale: garantisce a specifiche categorie (disoccupati di lungo corso, addetti ai lavori gravosi, invalidi e caregiver), la possibilità di prepensionamento a 63 anni e 5 mesi con almeno 30 anni di contributi (36 per la generalità degli addetti ai lavori gravosi). L’Ape Sociale è incompatibile con redditi da lavoro dipendente o autonomo, ad eccezione di quelli derivanti da lavoro autonomo occasionale, nel limite di 5.000 euro lordi annui (come Quota 103);
- Opzione Donna: utilizzabile da caregiver, invalide e lavoratrici o licenziate o dipendenti di imprese in crisi. Occorre un minimo di 35 anni di contributi e 61 anni di età (ovvero 60 anni per le lavoratrici madri con 1 figlio oppure 59 anni per le lavoratrici madri con 2 o più figli).
Bonus Maroni: incentivi alla permanenza al lavoro
Il Bonus Maroni viene prorogato e, novità, detassato.
Questo bonus incentiva a restare in servizio:
- i lavoratori che matureranno nel 2025 i requisiti per la pensione anticipata Quota 103,
- ma anche, altra novità, coloro che raggiungeranno nel 2025 le condizioni per la pensione anticipata ordinaria (42 anni e 10 mesi di contributi per gli uomini e 41 anni e 10 mesi per le donne).
In pratica, il lavoratore che sceglierà di non andare in pensione, riceverà in busta paga la quota dei contributi a proprio carico (pari al 9,19%), con un incremento netto del proprio stipendio pari a tale cifra.
Esercitando questa opzione però si avrà si un aumento dello stipendio ma anche un minor versamento di contributi utili ai fini previdenziali, perché continueranno a essere versati solo quelli a carico dell’azienda.
Nel corso del tempo, quindi, il montante contributivo utile ai fini pensionistici continuerà ad aumentare ma in misura inferiore.
Fonte: Mirco Minardi – HRNEWS