58° Rapporto sulla situazione sociale del Paese/2024
Giunto alla 58a edizione, il Rapporto Censis interpreta i più significativi fenomeni socio-economici del Paese. Le Considerazioni generali introducono il Rapporto con l’esortazione a ritrovare la via della crescita mediante la capacità di aprirsi al nuovo. Nella seconda parte, La società italiana al 2024, vengono affrontate le questioni di maggiore interesse emerse nel corso dell’anno descrivendo la sindrome italiana, le insidie della continuità nella medietà, la guerra delle identità, la mutazione morfologica della nazione, i conti che non tornano e le equazioni irrisolte del sistema-Italia, i fenomeni ambivalenti e in chiaroscuro. Nella terza e quarta parte si presentano le analisi per settori: la formazione, il lavoro e la rappresentanza, il welfare e la sanità, il territorio e le reti, i soggetti e i processi economici, i media e la comunicazione, la sicurezza e la cittadinanza.
l capitolo «Processi formativi» del 58° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese/2024
I compiti a casa sono un valore aggiunto? Gli studenti quindicenni italiani sono quelli che in Europa dedicano più tempo ai compiti a casa: una media di 2,3 ore al giorno. Anche il tempo della frequenza scolastica è tra i più elevati: in media 27,2 ore alla settimana, un valore più basso solo di quello della Germania (28,0 ore di frequenza, ma solo 1,2 ore al giorno dedicate allo svolgimento dei compiti a casa). Ma il tempo di apprendimento aggiuntivo non si traduce sempre in risultati migliori. Secondo una indagine del Censis, il 67,5% dei dirigenti scolastici ritiene che ci sarebbe bisogno di una regolamentazione specifica, al di là delle circolari risalenti agli anni ’60. Per il 98,3% è fondamentale che ogni docente si ritagli del tempo in classe per migliorare il metodo con cui gli studenti svolgono i compiti, per il 95,1% i docenti si dovrebbero coordinare tra loro. E se il 63,7% ribadisce l’importanza di assegnare i compiti a casa, per l’85,4% gli insegnanti dovrebbero essere più attenti alle ricadute sull’apprendimento. Per il 52,5% spesso i docenti si limitano a verificare lo svolgimento degli esercizi, senza correggerli, e per il 58,4% non esiste una linea di condotta comune nell’ambito di uno stesso istituto scolastico. Il 51,0% dei presidi ritiene che gran parte dei docenti dia per scontato che i genitori debbano supportare i figli nello studio domestico, e il 43,0% aggiunge che spesso vengono assegnati compiti che gli alunni non saprebbero svolgere senza l’aiuto dei genitori.
L’annosa questione dei docenti di sostegno. Nell’arco di 15 anni il numero di alunni con disabilità iscritti nelle scuole di ogni ordine e grado è quasi raddoppiato, passando dai circa 187.000 dell’anno scolastico 2007/2008 agli oltre 300.000 degli ultimi anni. Parallelamente si registra un incremento ancora più sostenuto dei docenti di sostegno. Tra il 2007/2008 e il 2023/2024 nelle sole scuole statali sono aumentati da 89.357 a 235.134 (+163,1%). Sono ormai un quarto di tutto il corpo docente (il 24,4%). Ma nell’ultimo anno scolastico il 58,0% era precario. Secondo una indagine del Censis, per il 53,3% dei dirigenti scolastici in molti casi i docenti di sostegno non hanno una preparazione adeguata. Per il 95,3% la formazione del docente di sostegno dovrebbe essere mirata almeno per alcune tipologie di disabilità. Vista la crescente presenza nelle scuole di studenti con bisogni educativi speciali (il 7,9% della popolazione studentesca), per il 98,7% dei presidi è necessaria una formazione specifica di tutto il corpo docente.
Il ruolo cruciale degli Its nell’innovazione tecnologica. Le Its Accademy sono un segmento dell’offerta formativa molto apprezzato dal sistema produttivo e ad elevata occupabilità: si registra l’87,0% di occupati tra i diplomati dei corsi del 2022. Al momento sono programmati 1.540 percorsi Its, 500 in più rispetto ai 1.002 attivi a giugno 2023 e quasi raddoppiati rispetto agli 837 del 2022. Le ultime previsioni per il 2023 certificavano un fabbisogno annuo di più di 47.000 Tecnici superiori, ma tra il 2013 e il 2022 i diplomati Its sono stati solo 34.925. Il legame con l’innovazione tecnologica è senza dubbio un elemento qualificante. Se tra i corsi conclusi nel 2017 quelli sulle tecnologie abilitanti 4.0 erano solo il 18,0%, già nel 2018 si era arrivati al 46,0% e poi al 54,7% nel 2019. Dal 2020 sono disponibili finanziamenti aggiuntivi: dai 13 milioni di euro di dotazione del Fondo per l’istruzione e la formazione tecnica superiore si è passati a più di 23 milioni nel 2018, fino a superare i 48 milioni a partire dal 2020 (con un picco di 68 milioni nel 2021). Tra i percorsi conclusi, la quota di quelli con tecnologie abilitanti 4.0 sale al 66,9% nel 2020, al 70,5% nel 2021, fino al 78,2% dei 349 percorsi conclusi nel 2022. I finanziamenti aggiuntivi previsti dal Pnrr danno un ulteriore impulso. Elevato è il numero di Its che già prevedono moduli didattici e attività laboratoriali sull’intelligenza artificiale. Secondo una rilevazione del Censis, nelle 146 Its Accademy oggi attive sono in partenza o programmati 21 percorsi riferibili alla figura del Tecnico superiore per la digitalizzazione dei processi con soluzioni Artificial Intelligence based.
Le università di fronte alla sfida dell’intelligenza artificiale. Secondo una rilevazione del Censis condotta sulle università italiane, a cui hanno partecipato 41 atenei, l’impiego di chatbot nel sito web di ateneo è la soluzione già oggi o in prospettiva maggiormente ricorrente: riguarda complessivamente 26 atenei. Cybersicurezza e ottimizzazione del sito impiegando soluzioni basate sull’Ia sono altri due ambiti che coinvolgono 19 atenei. E sono 16 quelli che stanno ricorrendo a sistemi di data science per individuare aree di miglioramento del sito a vantaggio della user experience. L’impiego dell’Ia oggi o in futuro a supporto della didattica, per la valutazione automatica di compiti e test, è limitato a 7 atenei. Oggi (o a breve) sono complessivamente 33 gli atenei in cui l’Ia è utilizzata nelle attività di ricerca, 23 nei servizi per gli studenti, 22 nella didattica, 21 per semplificare le procedure amministrative, 21 nella comunicazione, 16 per le attività di orientamento nella fase di iscrizione degli studenti, 15 nella gestione delle infrastrutture logistiche, 13 nel tutoraggio per prevenire il rischio di abbandono degli studi, 8 per la gestione delle iscrizioni.
Crescono le competenze linguistiche delle nuove generazioni. Gli italiani che parlano una lingua straniera abbastanza bene da partecipare a una conversazione sono il 44% della popolazione, meno della media Ue: 59%. Nel 2012 erano però solo il 38%, sono quindi aumentati di 6 punti percentuali. Una seconda e terza lingua straniera è parlata rispettivamente dal 16% e dal 7% della popolazione. I 15-39enni che parlano almeno una lingua straniera sono il 69% a fronte del 50% dei 40-54enni e del 22% dei 55enni e oltre. Parla due lingue straniere il 29% dei 15-39enni a fronte del 17% dei 40-54enni e del 6% dei 55enni e oltre. Almeno tre lingue straniere il 12% dei 15-39enni a fronte del 9% dei 40-54enni e del 2% dei 55enni e oltre. Al primo posto c’è l’inglese, parlato dal 33% degli italiani, poi il francese (9%) e lo spagnolo (6%). Tra i vantaggi percepiti c’è innanzitutto, per il 51% degli italiani, la possibilità di lavorare in un altro Paese. Poi l’opportunità di ottenere un lavoro migliore in Italia (47%), capire persone di altre culture (40%), impiegare la lingua straniera quando si è in vacanza all’estero (40%). Gli italiani ritengono che sia l’inglese la lingua che i bambini di oggi dovrebbero imparare per il loro futuro: lo pensa l’82%. Segue il cinese, segnalato dal 17%.
Cultura generale? Il 50% degli italiani non sa indicare correttamente il secolo della rivoluzione francese, circa il 30% non conosce l’anno dell’unità d’Italia o quando è entrata in vigore la Costituzione, né quando è caduto il muro di Berlino, il 42% non sa quando l’uomo è sbarcato sulla Luna e il 13% cosa fosse la guerra fredda. Il 41% crede che Gabriele D’Annunzio sia l’autore de L’infinito, per il 35% Eugenio Montale sarà stato “un autorevole presidente del Consiglio degli anni ‘50”, il 18,4% non può escludere che Giovanni Pascoli sia l’autore de I promessi sposi e il 6% non pensa che Dante Alighieri abbia scritto La divina commedia. Infine, per il 35,9% Giuseppe Verdi avrebbe composto l’inno nazionale, mentre per il 32,4% la Cappella Sistina potrebbe essere stata affrescata da Giotto o Leonardo da Vinci, ma certamente non da Michelangelo.
Programmi scolastici? Il 55,1% dei giovani non conosce Giuseppe Mazzini (che per il 19,3% sarebbe stato un “parlamentare della prima repubblica”). Il 43,5% dei diplomati stenta a capire l’italiano scritto (che diventa l’80% negli istituti professionali). Per il 12,9% degli italiani 7 per 8 “non fa necessariamente 56”, per l’11,8% “io correrò” non è una declinazione al futuro del verbo “correre” (bensì l’indicativo o il congiuntivo), mentre il 53,4% non sa cosa sia il potere esecutivo, né quale sia la capitale della Norvegia o il capoluogo della Basilicata. Del resto per il 5,8% il “culturista” sarebbe una “persona di cultura”.