Quanto siamo disposti ad investire perché la scuola rimanga aperta? Quanto è disposto questo Governo e le Regioni a programmare, pensare, dare risorse perché le nostre scuole rimangano aperte? Quanto siamo disposti a fare per “neutralizzare” il rischio contagio dovuto alla riapertura delle scuole?
La ripresa scolastica non sarà come la aspettavamo (le superiori riprenderanno al 50% e non si sa per quanto) e come un po’ incautamente avevano promesso il presidente del Consiglio e la ministra Azzolina a più riprese. Inutile ripercorrere gli errori di valutazione e le superficialità che hanno contraddistinto l’azione governativa sulla scuola nella cosiddetta seconda ondata. Occorre ora guardare al futuro per capire come gestire il 2021 ed evitare di perdere anche questa parte dell’anno scolastico.
La prima cosa da fare è uscire dall’inutile dibattito su quanto e come la riapertura delle scuole incida sulla diffusione del contagio. La ministra Azzolina farebbe meglio a non tornare più sulla questione, visto l’imbarazzante precedente.
A novembre abbiamo infatti appreso che il ministro dell’Istruzione non aveva i dati sui contagi nelle scuole e sbandierava superficialmente cifre poi rivelatesi non veritiere. Doveva accadere che una rivista (Wired) chiedesse l’accesso ai dati al ministero per avere finalmente trasparenza sul punto.
Secondo un’altra rivista (Tuttoscuola, 7 dicembre 2020) nel mese di ottobre la Azzolina aveva parlato di quantità irrisorie dei contagi (lo 0,021% tra gli studenti e lo 0,047% tra i docenti). Uno studio statistico elaborato da Livio Fenga (Istat) riferiva, invece, di un impatto ben più rilevante (quantificabile in circa 225.815 contagi). L’autore dello studio precisava, tuttavia, che il dato poteva risultare inquinato dalla sovrapposizione con le elezioni.
Ed infatti bisognerebbe uscire da questo schema mentale e da una parte e dell’altra smetterla di lanciarsi in affermazioni così impegnative circa la correlazione tra frequenza scolastica e contagi, per almeno due ordini di ragioni. In primo luogo non vi sono dati (o perlomeno non sono resi noti) che consentono di verificare se i contagi avvengono nelle aule scolastiche ovvero in altri momenti (es. nel tragitto, sui mezzi pubblici, etc.). In secondo luogo il dato dei contagi tra la popolazione non viene comparato ad altre categorie o situazioni allo scopo di comprendere la sua reale incidenza sul fenomeno nel suo complesso.
Mi pare, pertanto, inutile disquisire se le scuole siano diffusori di contagi o meno, è evidente che lo sono, come lo sono i centri commerciali, le palestre, lo shopping (favorito dal cashback!) etc. Il punto è un altro: quanto siamo disposti ad investire perché la scuola rimanga aperta? Quanto è disposto questo Governo e le Regioni a programmare, pensare, dare risorse perché le nostre scuole rimangano aperte? Quanto siamo disposti a fare per “neutralizzare” il rischio contagio dovuto alla riapertura delle scuole?
Questa è a mio avviso la vera questione. Di questo dobbiamo chiedere conto a chi ci governa, a tutti i livelli.
Se poi la situazione è davvero così drammatica allora si cambia scenario e si chiude tutto. Perché ciò che sta diventando intollerabile è vedere le scuole chiuse e i negozi e i centri commerciali aperti.
La seconda cosa da fare è cominciare a programmare seriamente, il che significa, per inciso, entrare nell’ottica che le cose non basta scriverle in una direttiva o in un Dpcm perché avvengano, come per magia. Programmare vuol dire accollarsi la responsabilità di far accadere quello che si annuncia, attraverso un lavoro vero di organizzazione e di gestione delle strutture amministrative, delle risorse (che, per inciso, bisognerebbe pure stanziare) e del personale.
Questo passaggio non mi pare ancora chiaro per la politica (tutta) italiana.
Il 9 dicembre scorso in sede di Conferenza delle Regioni si era prefigurata la situazione in cui ci si sarebbe trovati il 7 gennaio: la ripresa in presenza si sarebbe nuovamente scontrata con un coefficiente massimo di riempimento dei mezzi di trasporto al 50%.
Fulvio Bonavitacola (vicepresidente della Regione Campania e coordinatore della Commissione Infrastrutture e trasporti della Conferenza delle Regioni) aveva, inoltre, esplicitamente ammesso l’assenza di qualunque forma di programmazione durante un’audizione parlamentare di fronte alla Commissione Istruzione del Senato: “Occorre agire con decisione dal lato dell’offerta, con potenziamento dei servizi, e della domanda, con diversificazione degli orari d’ingresso alle scuole secondarie di secondo grado ponendo fine ad una situazione non gestibile, che ha lasciato il tema orari nella discrezionalità dei singoli dirigenti scolastici. È chiaro che così non si programma niente, se non il caos”.
Ministero e Regioni, dunque, già il 9 dicembre, avevano chiaro di non essere in grado di aumentare il servizio del trasporto pubblico locale e contestualmente avevano deciso che avrebbero dovuto essere le scuole a modificare i propri orari, allo scopo di consentire il ritorno in presenza inizialmente al 75% per poi sperare di arrivare al 100%. La rigidità dei sindacati della scuola ha fatto il resto: di doppi turni non si parla! E poi il riscaldamento in più, chi lo paga?
Insomma, ciò di cui avremmo bisogno è di una maggiore serietà e di uno sforzo vero di tutti i livelli di governo e i responsabili dei vari settori.
Fateci capire con i fatti e non a parole che la scuola vi è davvero cara.
– Annamaria Poggi (preside della Facoltà di Scienze della formazione dell’Università di Torino)