Il ministro Bianchi può finalmente attuare una riforma epocale. Basata su tre parole: autonomia, concorrenza tra scuole pubbliche e private, costi standard per allievo
Competenza indiscussa, curriculum magistrale. Al vertice di viale Trastevere siede una persona esperta e qualificata: economista, docente universitario, rettore. Lunga la serie delle pubblicazioni. La scuola italiana può così riscoprire il valore della competenza. Non solo la scuola, tutta la società.
Il Covid ha reso tutti più responsabili, ha risvegliato in noi il bisogno di uomini e di donne competenti: gli effetti dell’improvvisazione e degli slogan urlati nelle piazze sono sotto gli occhi tutti: Est iam satis. Abbiamo creduto che il consenso politico non si fondasse più sulle buone idee, sugli ideali, sui programmi realizzabili – perché frutto di analisi attente –, ma sul consenso riscosso tramite i social. E così la politica che aveva superato Mani pulite è caduta sotto la scure dei like. Il mito dell’operaio che diventa imprenditore senza la gavetta sta tramontando.
Il tentativo di svuotamento di significato delle istituzioni ha interrotto il rapporto fiduciario fra queste e i cittadini. Il Covid, dramma che ci ha colpiti duramente, va affrontato con una terapia speciale che domanderà studio, ricerca, approfondimento, costanza di una parola intelligente che non può essere taciuta perché il vuoto creato è sempre occupato dal nulla, dalla follia, dall’idiozia.
Oggi l’Italia può vantare un governo di unità nazionale, la scuola può vantare un ministro all’Istruzione di chiara esperienza: il professor Bianchi fu in grado di far ripartire la scuola per tutti dopo il terremoto dell’Emilia-Romagna, oggi la farà ripartire per tutti sulle macerie del Covid. Competenza, credibilità e capacità di tenere insieme il Paese, dal Nord al Sud: ecco i tre punti di forza di questo ministero che scriverà una nuova pagina di storia italiana.
Non è casuale che queste “condizioni favorevoli” giungano in un “tempo opportuno”.
1) Il Papa rilancia l’urgenza di un nuovo patto educativo. “Nella storia esistono momenti in cui è necessario prendere decisioni fondanti, che diano non solo un’impronta al nostro modo di vivere, ma specialmente una determinata posizione davanti ai possibili scenari futuri. Nella presente situazione di crisi sanitaria – gravida di sconforto e smarrimento – riteniamo che sia questo il tempo di sottoscrivere un patto educativo globale per e con le giovani generazioni, che impegni le famiglie, le comunità, le scuole e le università, le istituzioni, le religioni, i governanti, l’umanità intera, nel formare persone mature”. Un appello che certamente il ministro coglierà.
2) In queste ore con i fondi del Recovery plan disegneremo il futuro dei nostri prossimi 20 anni. La scuola deve ripartire subito, con contenuti solidi, per tutti. In caso contrario, l’epilogo sarà tragico. Le forze politiche, a livello trasversale, devono continuare a sostenere il Governo nel supremo interesse dei cittadini.
I cittadini si aspettano che il premier Draghi realizzi quello che negli anni è andato affermando, durante i suoi interventi, circa i giovani e la scuola. Nell’agosto del 2020 sostiene che “i giovani devono essere la priorità: in questi mesi noi ipotecheremo il futuro dei nostri ragazzi… Scriveremo per loro i prossimi 20 anni ed evidentemente i fondi Next generation Eu devono servire per creare loro quelle premesse che potranno domani renderli liberi e capaci di produrre reddito per sé e per gli altri”.
Evidentemente la politica dei sussidi non ha aiutato e non aiuterà, neppure in ambito di politiche scolastiche. I sussidi non bastano, servono a sopravvivere, non a ripartire. Ai giovani bisogna però dare di più: è chiaro che, per far ripartire il Paese, occorre far ripartire la scuola, come ritengono concordemente il premier attuale e il neoministro dell’Istruzione. Occorre far fronte ai limiti del sistema scolastico, almeno con la stessa energia con cui i poteri forti hanno impedito alla politica di compiere la riforma sistemica che da 20 anni risulta necessaria. Nel 2007, quando era presidente della Banca d’Italia, il professor Draghi aveva già ben chiari, con la pragmaticità che caratterizza chi desidera risolvere i problemi, i nodi da sciogliere della scuola italiana: la bassa collocazione del nostro sistema scolastico nelle graduatorie internazionali e l’anomalo reclutamento dei docenti. La mobilità, evidenziava Draghi, ha scarso legame con le esigenze educative, con meriti e capacità; ogni anno più di 150mila su 800mila docenti cambiano cattedra in un travagliato percorso di avvicinamento a casa. D’altronde è stato più volte evidenziato che i poteri forti, quali la politica e il sindacato, hanno visto in questi disperati un ricco bacino elettorale e di tesseramento.
Per questo l’unica scelta che un ministro coraggioso non bloccato dalla politica potrebbe fare è quella di un censimento dei docenti, della loro collocazione geografica e delle cattedre, per incrociare domanda e offerta. Si stabilizzerebbero i precari, si direbbe chiaramente ai docenti meridionali che per loro il posto per la cattedra vicino a casa non c’è e quindi occorre trasferirsi nel Nord, per un ventennio almeno, perché il dirigente della scuola statale ha bisogno di un organico definito e stabile per vincere la sfida educativa. Si terranno insieme i bisogni degli studenti di avere il docente e quello dei docenti di poter lavorare anche lontano da casa con uno stipendio congruo. Soltanto con una improrogabile operazione verità si potranno conciliare le legittime aspettative dei docenti, le necessità di stabilizzazione dei dirigenti e i bisogni dello studente.
Il professor Draghi, negli anni, ha anche evidenziato il ritardo nella valutazione delle scuole, accanto alla questione che nella scuola occorre introdurre le parole valutazione e meritocrazia. I problemi non nascono, evidentemente, da una carenza di risorse per studente che sono invece più elevate in Italia che nella media europea. È evidente che si spende male.
La scuola domanda una riforma epocale che da troppo tempo è impedita da interessi terzi, ma che può oggi essere compiuta con l’aiuto di un governo trasversale, perché, quando si è in emergenza, per non esplodere si arriva subito al sodo, al cuore dei problemi. È necessario completare il percorso dell’autonomia scolastica organizzativa e didattica della scuola pubblica statale, ma anche della libertà della scuola pubblica paritaria, come ben evidenziava il professor Bianchi nel rapporto finale di 150 pagine del 13 luglio 2020, “Idee e proposte per una scuola che guarda al futuro”, elaborato come comitato dei 18 esperti da lui presieduto, ma mai reso noto alla pubblica riflessione.
Autonomia, inclusione, solidarietà per la ripartenza del sistema nazionale d’istruzione erano i temi chiave del documento, come di tutta la riflessione sulla scuola del neoministro, sin da quando era rettore e assessore, con una chiara attenzione ai giovani. E ne indica gli strumenti: “Si torna a scuola in presenza con distanziamento”, quasi a dire che il diritto alla salute e all’istruzione vanno tenuti insieme, non fatti confliggere. Si legge a pagina 36 dell’Allegato B che un attore del sistema nazionale di istruzione è la scuola paritaria che svolge un ruolo pubblico e che le famiglie sono discriminate, dovendo pagare due volte, le tasse prima e la retta poi. Ma era proprio il Covid che avrebbe imposto una maggiore attenzione a questo comparto e alla necessità di completare il percorso della libertà della scuola paritaria. “Il Comitato suggerisce sia prestata particolare attenzione alla circostanza che ove, per ipotesi, si determinasse la chiusura del 15% delle scuole paritarie no profit (circa l’85% del totale di scuole paritarie), occorrerebbe accogliere nelle scuole statali o paritarie degli enti locali circa 100.000 nuovi studenti. Questo proprio in coincidenza con l’esigenza di distanziamento anche in queste ultime e dunque di reperimento di maggiori spazi”.
Nel documento sono presenti tutte le premesse per compiere una riforma epocale. In sintesi:
– occorre dare una reale autonomia organizzativa alla scuola statale, affinché possa scegliere i docenti assunti da un albo alimentato, ma anche monitorato, per evitare un sovrannumero di posti vacanti o inesistenti;
– occorre dare una reale libertà alla scuola paritaria, pubblica ai sensi di legge. Solo in Italia la famiglia deve pagare due volte; nella laicissima Francia la famiglia, avendo già pagato le tasse, a costo zero frequenta la statale o la paritaria cattolica. Il nostro non è un problema di Stato laico o confessionale, ma di non temere che una sana concorrenza, a parità di regole fra i due sistemi, innalzi il livello di qualità sotto lo sguardo garante dello Stato. E se la scuola statale funziona, e funziona bene, certi diplomifici che si spacciano per paritarie periranno;
– è necessario pertanto rivedere definitivamente le linee di finanziamento del sistema scolastico italiano. Noi spendiamo troppo e male: occorre liberare le risorse dalla morsa dello spreco. Un allievo non deve costare 8.500 euro annui, bensì 5.500; con i costi standard di sostenibilità per allievo, si introduca definitivamente la quota capitaria che si declinerà nelle leve fiscali desiderate: la convenzione che tanto piace alla sinistra, la detrazione che piace al centro, il voucher che piace alla destra.
Ringrazio Il Sussidiario per aver ospitato solo pochi giorni fa la proposta del costo standard di sostenibilità per allievo e per avermi concesso la possibilità di esprimere le attese nei confronti del Governo. Sono convinta che sia arrivato il momento perché i cittadini italiani si vedano riconosciuti il diritto alla libertà di scelta educativa. Hora est iam nos de somno surgere.
– Anna Monia Alfieri