“Stiamo lavorando ad una scuola affettuosa” ha detto il ministro Bianchi. Mai come oggi occorre risvegliare nei giovani un’attrattiva.
“Dopo anni di individualismo”, ha aggiunto il ministro, “ora bisogna tornare ad una scuola di affetti, in cui la socialità sia il modo di vivere insieme. Stiamo lavorando affinché la scuola permetta ai ragazzi di affrontare la complessità del mondo in cui il rischio di perdersi è alto. E questo non lo si fa da soli, ma insieme”.
Una scuola degli affetti e dell’insieme, dunque, quella verso cui ci si vorrebbe incamminare. È vero che gli ambienti scolastici hanno bisogno di diventare meno formali, più attenti ai bisogni formativi e al protagonismo di chi studia e le parole di Bianchi offrono autorevolmente al mondo della formazione una prospettiva nuova, necessaria per creare luoghi di relazioni significative. Una scuola “affettuosa” è una scuola che “va costruita con l’aiuto di tutti” ha detto ancora il ministro. “Su di essa dobbiamo mobilitare il Paese intero. Si parte dai più fragili. La scuola è lo strumento con cui ricostruiamo il Paese”.
A quale affetto si fa riferimento? Non pare l’invito all’esercizio di una pedagogia buonista, ma la sollecitazione all’adulto a mettere a tema il lavoro su di sé, all’esserci nella relazione con l’altro, sia esso il collega o lo studente. È pertanto un atteggiamento professionale suggerito agli adulti – e una consapevolezza a cui introdurre i ragazzi – che sottolinea lo scopo dello studio, che realizza sfide di apprendimento intense e generatrici, che promuove obiettivi di apprendimento adeguati, che suscita relazioni autentiche e legami di appartenenza.
Una scuola affettuosa è un ambiente capace di risvegliare nei ragazzi un’attrattiva verso il mondo del sé, della conoscenza, del fare e del progettare. Gli studenti vanno preparati a vivere nel complesso mondo del XXI secolo e ciò richiede, a chi insegna e a chi dirige le scuole, di passare da una stanca collaborazione professionale ad una professionalità collaborativa, capace di promuovere ambienti di apprendimento formali e informali, di attivare procedure che favoriscano acquisizioni di conoscenze significative, di qualificarsi nella continua elaborazione di curricoli formativi, di puntare sull’innovazione metodologica e sul miglioramento, sviluppando aperture all’interno della scuola e verso le realtà esterne che con essa collaborano.
A quale affetto si fa riferimento? Non pare l’invito all’esercizio di una pedagogia buonista, ma la sollecitazione all’adulto a mettere a tema il lavoro su di sé, all’esserci nella relazione con l’altro, sia esso il collega o lo studente. È pertanto un atteggiamento professionale suggerito agli adulti – e una consapevolezza a cui introdurre i ragazzi – che sottolinea lo scopo dello studio, che realizza sfide di apprendimento intense e generatrici, che promuove obiettivi di apprendimento adeguati, che suscita relazioni autentiche e legami di appartenenza.
Una scuola affettuosa è un ambiente capace di risvegliare nei ragazzi un’attrattiva verso il mondo del sé, della conoscenza, del fare e del progettare. Gli studenti vanno preparati a vivere nel complesso mondo del XXI secolo e ciò richiede, a chi insegna e a chi dirige le scuole, di passare da una stanca collaborazione professionale ad una professionalità collaborativa, capace di promuovere ambienti di apprendimento formali e informali, di attivare procedure che favoriscano acquisizioni di conoscenze significative, di qualificarsi nella continua elaborazione di curricoli formativi, di puntare sull’innovazione metodologica e sul miglioramento, sviluppando aperture all’interno della scuola e verso le realtà esterne che con essa collaborano.
– Ezio Delfino – dirigente scolastico
Il Sussidiario