Anche la scuola si prepara a prendere l’onda semplificatrice che si abbatterà di qui a poco sulla pubblica amministrazione italiana. E i primi a beneficiarne saranno gli aspiranti docenti.
Indipendentemente da come finirà l’ennesimo tempo supplementare sulla stabilizzazione dei precari è ormai chiaro che i concorsi a cattedra verranno semplificati. Molto probabilmente già nel breve periodo. La conferma è duplice e arriva non solo dal tavolo Istruzione-Mef-Palazzo Chigi in piedi da giorni per trovare una soluzione all’emergenza posti scoperti (con annesso boom di supplenze) che rischia di complicare ancora di più la partenza del prossimo anno scolastico. Ma anche dal cronoprogramma sul Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), che il governo italiano ha inviato a Bruxelles e che dedica un ampio paragrafo alla riforma del reclutamento.
Le trattative sui precari
Partiamo dall’attualità, che vede il governo al lavoro su un maxi-piano di assunzioni di insegnanti per tentare di coprire quante più cattedre possibili delle 112mila oggi libere e disponibili. Dopo una serie di incontri con i tecnici di palazzo Chigi e dell’Economia, la soluzione che si sta mettendo a punto è piuttosto articolata. Con le procedure ordinarie, vale a dire attingendo dalle graduatorie a esaurimento (le cosiddette “Gae”) e da quelle di merito dei vecchi concorsi, si punta ad assumere almeno 20mila docenti. Altri 26-28mila ingressi dovrebbero riguardare i vincitori del concorso straordinario (riservato a precari con almeno 36 mesi di servizio), che il ministero dell’Istruzione conta di completare in estate. Si sta lavorando anche per assumere una quota di precari sul sostegno, che rappresenta l’urgenza nei posti scoperti e che sembrano più vicini alla stabilizzazione. A questo contingente il ministero dell’Istruzione punta ad aggiungerne un altro sui posti comuni. Quanto cospicuo lo si capirà al termine delle trattative con Mef e presidenza del Consiglio. Ma è difficile che si arrivi ai 60mila stabilizzandi proposti nelle settimane scorse. A prescindere dal numero finale di beneficiari è chiaro che a parte i titoli e gli anni di servizio (presumibilmente tre anche stavolta con il rischio di ripescare alcuni dei bocciati del concorso straordinario appena svoltosi) se ci sarà una prova sarà unica e al Pc seguita da un anno di insegnamento e colloquio finale.
I nuovi concorsi ordinari
Del resto uno schema simile il Pnrr lo delinea pure per i futuri concorsi ordinari. Nel paragrafo dedicato alla riforma del reclutamento infatti il governo dice chiaramente che i concorsi a cattedra verranno semplificati. Come? Facendo una prima scrematura sulla base di titoli culturali, servizio svolto e prova computer based e formando una graduatoria di vincitori a cui assegnare i posti scoperti. L’anno di insegnamento sarebbe di fatto un training on the job al termine del quale verrebbe svolto un test finale per la conferma in servizio sullo stesso posto assegnato, con l’obbligo di restarci tre anni.
Cronoprogramma alla mano, il rinnovamento scatterebbe per i concorsi banditi nel 2022. A meno che non si decidesse di accelerare e di applicare uno schema simile ai concorsi ordinari da 46mila cattedre che sono già stati banditi e hanno visto arrivare oltre 430mila domande. Chiaramente semplificandoli sulla base di una prova unica seguita da un periodo di prova, in linea con le nuove indicazioni dettate dal ministro della Pa, Renato Brunetta, e già sperimentate in altre amministrazioni. Se si decide di correre – è il ragionamento dei tecnici dell’esecutivo – forse si riesce ad avere una quota di vincitori già per settembre. Evitando o limitando al massimo l’impatto della stabilizzazione-sanatoria di cui sopra.
da Il Sole 24 Ore
di Eugenio Bruno e Claudio Tucci