Ucraina. Da giorni la guerra è entrata nelle classi delle nostre scuole, costringendo gli insegnanti a non sottrarsi al delicato compito di rispondere agli interrogativi, a volte angosciosi, dei propri alunni. Non è certamente un compito né semplice né facile per loro cercare di spiegare le ragioni di questa guerra, i suoi effetti immediati e le possibili conseguenze per il nostro Paese e, forse, per il mondo intero.
Nei confronti dei più piccoli è soprattutto importante trovare parole di rassicurazione per fugare paure, ma nei confronti dei più grandi, in particolare degli studenti degli istituti superiori, gli insegnanti hanno soprattutto il compito non facile di onorare la verità.
Per il secondo venerdì consecutivo dall’inizio del conflitto, gli studenti italiani non hanno manifestato, non sono scesi in piazza, come avevano fatto più volte nelle settimane precedenti per chiedere sicurezza negli stages dell’alternanza scuola-lavoro o per rivendicare un esame di maturità più leggero.
Sembrano in attesa e restano alla finestra, ma potrebbero essere affascinati da quella ideologica neutralità attiva, sbandierata dai manifestanti scesi in piazza con lo slogan “Né con la Nato né con Putin”. Forse i loro insegnanti potrebbero aiutarli a chiarire perplessità e indifferenze.
Eppure, i nostri studenti hanno a portata di mano un’occasione quasi storica per difendere i diritti di libertà, di democrazia e di sovranità dei popoli, evitando di mettere sullo stesso piano aggressori e aggrediti, invasori e vittime dell’invasione.
Scendendo in piazza in tutte le città italiane, manifesterebbero anche per i giovani russi che a casa loro non possono nemmeno parlare di guerra, anche se in quella “operazione militare speciale” stanno morendo centinaia di loro giovani coetanei per una guerra vera e assurda, coetanei anche di tanti giovani ucraini che muoiono in quella guerra per difendere libertà e indipendenza.
Una libertà da difendere che potrebbe diventare la nostra.
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