Nella primavera 2022 si sono svolte al termine del 5° anno delle scuole superiori italiane tutte le prove Invalsi di italiano, matematica e inglese. Vi ha aderito su base – attenzione! – volontaria il 96,85% degli studenti. Evidentemente le ostilità degli insegnanti, che ancora in parte resistono, non li hanno scoraggiati. I risultati di questa somministrazione saranno presentati il 7 luglio nell’Aula Magna dell’Università La Sapienza di Roma all’interno dell’annuale Rapporto Invalsi.
Nel frattempo però, a partire dall’8 giugno, cioè prima dell’inizio degli esami di maturità, è stato possibile per gli studenti che le hanno sostenute scaricare in formato open badge registrandosi nell’area riservata a ciò dedicata sul sito Invalsi un attestato relativo ai livelli di competenza raggiunti. Attestato utilizzabile per arricchire il proprio curricolo anche sulle piattaforme professionali oltre che in generale sui social media.
Finora erano state svolte ricerche sul rapporto fra risultati delle valutazioni standardizzate (Pisa, Invalsi) e voti della maturità, ma il paragone era in parte discutibile perché ci si era dovuti fermare al secondo anno delle superiori, là dove in effetti si fermavano le valutazioni standardizzate. Dopo un decennale dibattito, la sia pure tormentata partenza di un’edizione finale delle prove Invalsi permette oggi un paragone del tutto attendibile. Tormentata la partenza perché, scartata l’ipotesi di collocarne gli esiti all’interno della votazione di “maturità”, alla fine si è approdati alla soluzione funambolica di due valutazioni parallele ed autonome. E però effettuare la prova –indipendentemente dal suo esito – condizionava l’accesso all’esame. Norma peraltro non ancora applicata, in forza di sospensive grilline e poi del peraltro incolpevole Covid. Donde la volontarietà della partecipazione, che non ha peraltro impedito anche quest’anno un plebiscito pari a quello del 2019, primo anno della somministrazione alla classe finale del percorso di studi secondari.
Propri sui dati del 2019 è uscito nel maggio 2022 per Fondazione Agnelli uno studio di Patrizia Falzetti ed Angela Martini, L’esame di maturità e le prove Invalsi. Le autrici si sono domandate quali siano le variazioni fra macroaree e regioni nelle valutazioni delle singole prove, nel credito e nel voto conclusivo ed in che misura tali valutazioni correlino con il voto finale e soprattutto con i risultati delle prove Invalsi.
Per quanto riguarda le prove scritte, l’Italia centrale e settentrionale registrano percentuali più basse di voti massimi e più alte di voti inferiori alla sufficienza dell’Italia del Sud. I risultati della prova orale appaiono più equilibrati, pur con sempre una media ed una mediana più alte al Sud. Ciò si riflette naturalmente sul voto finale cui tali prove, nella sessione 2019, concorrevano per il 60%. Il credito scolastico, che concorreva per il 40%, invece mostra valori più equilibrati fra le macroaree e più simili ai livelli attribuiti nelle valutazioni nazionali ed internazionali standardizzate. Gli insegnanti del Sud infatti attribuiscono nel percorso di studi, in particolare in matematica, percentuali di voti insufficienti superiori a quelle del Nord e Centro e inferiori invece per quanto riguarda i voti superiori alla sufficienza. È – affermano le ricercatrici – soprattutto in sede di esame che prende piede la propensione ad adottare parametri di giudizio più larghi, forse “con l’intento di dare un vantaggio competitivo ai propri studenti per l’accesso all’università ed in particolare per la partecipazione ai pubblici concorsi”.
In proposito si potrebbe considerare che, se l’accesso ai pubblici concorsi è legato costituzionalmente al possesso di un titolo di studio (unica forma cogente effettivamente esistente del tanto mitizzato valore legale), non altrettanto lo sono le modalità degli stessi, in particolare per l’attribuzione dei punteggi e pertanto per la formulazione delle graduatorie né tanto meno per la definizione della famosa tabella dei titoli. Ed infatti la percentuale più alta dei 100 e dei 110 e lode è da tempo stata identificata in Campania, Puglia e Calabria, con un andamento comunque decrescente da Sud a Nord.
Passando alle prove Invalsi, la correlazione fra i livelli di apprendimento evidenziati da queste prove ed i voti di esame è sempre positiva, il che significa che le scale effettive dei valori relativi degli allievi non vengono alterate, sia per quanto riguarda i singoli che le tipologia di scuole. I licei insomma sono sempre in cima. Ma ciò che non correla è il livello cui la scala viene appesa.
Paragonando il voto della prima prova di italiano con i risultati Invalsi di italiano di tutti i tipi di scuola, il voto della seconda prova dei soli licei scientifici con quelli di matematica e della seconda prova dei licei linguistici con quelli di inglese, si constata che in matematica lo scarto per quel che riguarda il punteggio d’esame più alto (100) è di ben 36 punti fra il Nord Est (la macroarea con i risultati Invalsi migliori) ed il Sud-Isole (la macroarea con i risultati Invalsi peggiori). Una intera deviazione standard. Meno rilevante, ma sempre significativo lo scarto nella prova di italiano e di inglese, scarto che tende a restringersi in corrispondenza dei voti più alti e ad ampliarsi in corrispondenza dei più bassi.
Ma soprattutto la percentuale di studenti delle regioni del Nord con punteggio elevato nelle prove Invalsi è più alta di quella con voto di esame superiore a 90, mentre “la relazione fra le due serie di dati si inverte man mano che si procede dalle regioni centrali al Mezzogiorno”.
Abbiamo dunque per la prima volta un confronto diretto fra livello degli apprendimenti testati in Invalsi per la stessa classe e voto di maturità. I cambiamenti intervenuti dopo il 2019, in particolare negli ultimi tempi (commissione tutta interna, seconda prova definita dalla scuola, peso del credito nel voto finale) a buon senso non potranno che accentuare gli aspetti messi in rilievo dalla ricerca.
Ci si può dunque per l’ennesima volta, ma con sempre maggior ragione, domandare se abbia senso mantenere una facies di esame esternalizzato a quella che è sempre più chiaramente una prova a valore di bilancio interno di un percorso di studi. Funzione peraltro utile, se non formativamente indispensabile. Ma i cui risultati numerici vengono oggi alterati da considerazioni del tutto esterne a quelle legittime, relative all’effettiva preparazione e capacità degli allievi.
La Costituzione non si può e non si deve in questo caso cambiare, ma le modalità dei concorsi pubblici sì.
IL SUSSIDIARIO 20 giugno 2022