C’era una volta il “Preside”, con la p maiuscola, subliminale nostalgia di una scuola che, per vari motivi, alcuni di noi rimpiangono, nostalgia di un tempo in cui la figura del Preside aveva una grande autorevolezza dentro e fuori della scuola e godeva di un elevato riconoscimento sociale e professionale.
Ecco poi giungere l’autonomia: i presidi e i direttori didattici divengono “dirigenti” (come se la scuola fosse un’azienda), acquisendo così anche impropriamente una connotazione vagamente burocratica, forse per la loro assimilazione in tutto e per tutto (tranne lo stipendio) agli altri dirigenti della pubblica amministrazione.
Nella realtà delle scuole però sulla porta dell’ufficio del dirigente scolastico per lo più è rimasta la vecchia targhetta “Presidenza” o “Direttore didattico” e a nessuno entrando in tale ufficio verrebbe in mente di dire: “Buongiorno, dirigente”. Come era più poetico e suggestivo il “Buongiorno, preside” di una volta.
Per assegnare una posizione di prestigio al dirigente scolastico nel 2015 la legge 107 vengono attribuiti ampi poteri decisionali e discrezionali che prima non aveva ed in generale la figura dell’ex preside viene percepita come una sorta di sceriffo.
In un recente studio realizzato da Massimo Cerulo per la “Fondazione Giovanni Agnelli” sulla figura dei dirigenti emerge che “il Dirigente appare come un soggetto accentratore di poteri, mal propenso a un ampio utilizzo della delega e quindi, di conseguenza, non troppo utilizzatore delle potenzialità a lui offerte dallo strumento dell’autonomia… Vi è un forte squilibrio in termini di spazio e di tempo tra i due ruoli previsti dal legislatore: quello di leader educativo-didattico risulta offuscato quando non cancellato dal carico di impegni amministrativi del Preside manager”.
Proprio questa prospettiva monocratica ed autoritaria è sostenuta dall’Associazione Nazionale Presidi (ANP) e ciò è confermato nel contenuto del PDF prodotto, diffuso ed utilizzato dall’ANP durante i seminari di aggiornamento dei Dirigenti scolastici sulle linee-guida del PTOF (Piano Triennale dell’Offerta Formativa), dove si evince la contrarietà alle prerogative degli organi collegiali:
- Il PTOF va portato in Collegio Docenti “quando vi siano le condizioni per raccogliere il consenso” per “una discussione da contenere quanto più possibile” ed “evitando mozioni di tipo ostruzionistico e comunque illegittime“.
- Al Consiglio di Istituto spetta il compito di “approvare” il PTOF e ciò “potrebbe significare che può modificarlo“; “si tratta di un evento da evitare con ogni cura“; “il Dirigente avrà preparato accuratamente la delibera” “che sostanzialmente dovrà essere una ratifica“.
- “NON AVERE LE MANI LEGATE RISPETTO A DOCENTI CONTRASTIVI”
Secondo l’ANP il dirigente scolastico deve avere tutto sotto controllo e avere come alleati i collaboratori scolastici in perfetta sintonia con lui. Per educazione, quieto vivere, signorilità, i docenti non reagiscono ed il dirigente scolastico si sente realizzato nel suo ruolo dittatoriale e ossessivamente ha raggiunto lo scopo di farsi riconoscere come “capo”.
A proposito di chi è alla ricerca ossessiva di riconoscimento della propria autorità o di chi ha bisogno continuamente di sottolineare agli altri il suo ruolo di “capo” (tipica espressione “qui comando io e si fa quello che dico io”), il prof. Mario Maviglia, Ispettore tecnico presso l’Ufficio Scolastico della Lombardia suggerisce una riflessione: “Innanzi tutto ci si dimentica che le figure in assoluto più importanti all’interno della scuola sono gli alunni e i docenti. Pensateci bene: una scuola non è tale se non è frequentata da studenti e se non vi sono docenti che se ne prendono cura. Tutte le altre figure sono a servizio e a supporto di questa relazione. Una scuola può esistere anche senza dirigente, ma se non vi sono studenti la scuola chiude. Questa verità, assolutamente banale e lapalissiana, viene sistematicamente ignorata da molti dirigenti che vivono la propria figura come in assoluto la più importante all’interno della scuola, dimenticando che il miglior dirigente è colui che supporta un’organizzazione in modo che essa possa agire efficacemente senza aver bisogno del dirigente. Il dirigente è colui che crea le migliori condizioni (tenendo conto dei vincoli normativi, strutturali, organizzativi e di risorse) affinché l’istituzione scolastica persegua al meglio i propri obiettivi istituzionali”.
Numerose sono le sentenze di condanna di dirigenti scolastici per comportamenti antisindacali, per mobbing e per sanzioni disciplinari arbitrarie, per reati commessi nei confronti dello Stato e dei lavoratori emesse dai giudici del lavoro e dalla magistratura penale.
In un liceo di Milano la dirigente scolastica è addirittura arrivata a chiamare la polizia perché un docente, con decenni di servizio e un’ottima reputazione alle spalle, ha osato alzarsi in piedi durante un collegio docenti per chiedere delucidazioni riguardo al bonus per gli insegnanti: procedimento disciplinare per “insubordinazione”.
Sempre a Milano un’altra docente con alle spalle una carriera irreprensibile di quarant’anni di servizio è stata punita in quanto rea di aver proposto di cambiare la destinazione di una gita scolastica perché costava un po’ meno.
Da quando sono stati immessi in ruolo i nuovi dirigenti vi è stata una crescita esponenziale di contenziosi tra dirigenti scolastici e docenti: da 1% o 2 % che erano una volta si sono decuplicati.
Certo, non tutti i dirigenti scolastici sono autoritari. Vi sono anche quelli autorevoli, seri e costruttivi che non alimentano divisioni e conflitti con il personale scolastico, ma che cercano di prevenirli con un corretto ed onesto confronto, perché solo col dialogo si instaura un clima di collaborazione e di reciproco rispetto. Dirige ma non comanda, proprio come un direttore d’orchestra. È questo il ruolo del dirigente scolastico che lo Snals ha sempre auspicato.
Sempre l’Ispettore Mario Maviglia scrive: “ Soprattutto in molti dirigenti dell’ultima leva (non me ne vogliano gli interessati) abbiamo spesso assistito ad un concentrato di formalismo e autoreferenzialità che spesso ha assunto derive decisamente autoritarie. … Il vero potere del dirigente, la sua “autorità” sostanziale, deriva non tanto, o non solo, dal D,Lgs 165/2001, ma dal fatto che all’interno dell’istituzione scolastica egli riesce a creare una comunità – grazie alle sue competenze professionali – in grado di perseguire con efficacia gli obiettivi connessi all’impresa educativa e questa sua capacità gli viene riconosciuta dai suoi diversi interlocutori non solo sul piano formale, ma su quello più squisitamente professionale. … Il dirigente autoritario (pieno di sé, della sua supposta autorità) non tollera questo stato di cose e tenderà ad isolare, sbeffeggiare, esautorare gli “oppositori”, il leader educativo stabilirà un rapporto il più possibile chiaro con costoro e si misurerà – sul piano professionale e della competenza, e non su quello del riconoscimento narcisistico – con le proposte portate avanti dagli “oppositori”, magari per scoprire che qualcosa di valido ci può essere anche in quelle posizioni”.
Perciò la scelta per un dirigente scolastico è tutta qui: essere leader educativo o manager; tertium non datur!
In conclusione tra i dirigenti scolastici, come in ogni altra categoria, vi sono diversi modi per interpretare il proprio ruolo, più o meno condivisibili.
Quando si criticano alcuni dirigenti scolastici pieni di sé e della loro supposta autorità che mettono in atto comportamenti irriguardosi, ritorsivi, collusivi o strumentali nei confronti del personale scolastico e per sottolineare la loro figura caratterizzate da una certa sfumatura “muscolare” si usano espressioni del tipo preside-sceriffo, preside-manager, preside-sindaco, padre-padrone, ecc. non si vuole criminalizzare tutta la categoria, ma stigmatizzare il comportamento del singolo, senza alcuna generalizzazione, senza nulla togliere a chi agisce con saggezza, rispetto, grande equilibrio, evitando comportamenti “sopra le righe”. E coloro che agiscono da veri leaders educativi, che assicurano il buon andamento della scuola, non devono certo sentirsi offesi per queste critiche, piuttosto si dovrebbero sentire “diffamati” dal loro collega oggetto della critica.
La redazione